Cultura Febbraio 2001
CyberLondra (4)
lunedì
12 febbraio 2001
Oggi devo raccontare delle storie. Vere o meno, poco importa.
L'importante è raccontarle, le storie, e sentirsele raccontare.
In un taccuino di viaggio, comunque, le storie dovrebbero essere
tutte vere. O, quanto meno, partire da qualcosa di qautentico per
poi prendere magari una strada diversa. Chissà...
Prima storia - Metropolitana
Mi
passa davanti mentre sto imboccando una delle tante scale mobili
di Waterloo Station. Devo prendere la linea grigia, quella nuova,
chiamata Jubilee. La noto perché indossa soltanto un completo di
jeans, giubbottino e pantaloni, entrambi attillati. Un'altra -
penso - che a nome della bellezza - la sua - si immola al freddo
del febbraio londinese. Ha un borsone da viaggio, capelli lunghi e
neri e del viso vedrò soltanto il profilo per qualche secondo. Si
piazza sullo scalino davanti al mio e andiamo giù senza che lei
si volti mai.
Riprendiamo a camminare, ho la macchina fotografica al collo e
faccio quello che non dovrei fare. La fotografo di spalle. Faccio
clic ma, scusatemi, non mi sento affatto come un cowboy vigliacco.
In viso, penso, la vedrò quando saliremo sulla metropolitana.
Dentro a quelle carrozze si vivono migliaia di innamoramenti al
giorno. Ti innamori per tre, sette, nove minuti. Il tempo di un
percorso. Poi, quando uno dei due scende, tutto finisce. Fine
degli sguardi, e - ma sì dai - fine del sogno (come la ragazza
che ascoltava i Radiohead col walkman, e mi guardava scrivere, e
io la guardavo ascoltare e ora è scesa a East Putney).
Solo che questo termina ancor prima: lei se ne va via dritta verso
un'altra linea e a me resterà solo quello scatto quasi casuale,
pochi secondi del suo profilo e niente più. A Bond Street devo
cambiare e prendere la Central Line, la linea rossa. Salgo
alla fine di una carozza e dall'altra parte del vetro che mi
divide da quella accanto la rivedo. La donna in jeans è lì, a
due passi da me ma irraggiungibile. Quello che mi sconvolge non è
tanto la coincidenza quanto il fatto che io questa scena l'ho
immaginata nel lio romanzo. E per la prima volta mi trovo a
viverla. Lei è di spalle anche stavolta e io ho la macchina
fotografica ancora al collo, faccio clic mentre si sta girando ma
- vedete - uno strano riflesso quasi le cancella il volto. Come
una pellicola che stesse per bruciare proprio in quel punto. Ne
intuisco solo i lineamenti inferiori. La grazia con la quale
deve essersi voltata.
Il mio percorso dura il tempo di una fermata. Un minuto, poco più.
Poi, la ragazza in completo di jeans sarà soltanto un ricordo. E
pochi pixel di lei, dentro al mio palmare.
Roberto
Ferrucci
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