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redarrowleft.GIF (53 byte) Cultura Febbraio 2001 

CyberLondra (3)

Londra, 10 febbraio 2001

Anche il piccolo Tommy, alla fine, ha avuto il suo autografo dal portiere del Chelsea De Gooey. A patto che i suoi genitori, appoggiati alla parete, sciarpe del Chelsea attorno al collo, gli comprassero la maglietta giusta. La sua, e non quella di Cudicini, il nuovo titolare, figlio di Fabio, il "ragno nero" degli anni sessanta.
È stata una vera e propria gag, quella fra De Gooey e il piccolo Tommy, col portiere che firmava autografi a tutti meno che a lui. Si vive così il calcio in Inghilterra. Con le famiglie intere ad aspettare i giocatori dopo la partita. E questi se ne escono tranquillamente, a piedi, per raggiungere la macchina al parcheggio. E chiunque poteva mettersi lì, fuori dagli spogliatoi. Eppure non si giocava una partita qualunque. C'era il match dell'anno, oggi, a Londra. Ottenuto il suo autografo, Tommy si è rimesso a palleggiare con papà. Più tardi, avrebbe scambiato due tiri anche con Marcel Desailly. Che si è fermato a parlare pure con me.
Ha palleggiato per tutto il tempo il piccolo Tommy. Più di un'ora, mentre aspettava che uscissero i suoi beniamini.
È giusto che questa fosse la partita dell'anno. Che allo Stamford Bridge non ci fosse un posto libero. "Sold out" da settimane. È la nostra partita questa. Quella che abbiamo giocato milioni di volte. Da una parte e dall'altra. Una volta rossi. L'altra blu. E il girello non vale. I rossi e blu del calcetto. O calcio balilla se preferite. Eccoli là, a pochi metri da me, i miei giocatori. Solo che il campo non è né di vetro, né di plastica, né di legno. Uno degli stadi più belli d'Europa, lo Stamford Bridge. E fra i blu c'è Gianfranco Zola, fra i rossi David Beckham. Chelsea-Manchester United. Premiership. Campionato inglese. Il calcio. Quello vero. Altro che calcetto.
A venti minuti dal fischio d'inizio lo stadio è ancora quasi vuoto. Entrano tutti all'ultimo momento qui in Inghilterra.
Prima stanno fuori, nei pub. Tanto i posti sono tutti numerati. Al Britannia, proprio di fronte all'entrata dello East Stand, due ore prima della partita decine e decine di "blues" scolano fiumi di birra. Un gruppo indossa anche delle parrucche coi colori sociali. Fuori, sono in parecchi ad avere addosso solo la maglietta di Zola o di capitan Wise. Con le maniche corte. Vanno a scaldarsi anche loro al Britannia e gli altri pub qui attorno. E per farlo non si mettono certo vicino al calorifero.
Compro delle spille a una bancarella dove una tenerissima ragazza bionda mi dice che quella dello United con la maglietta numero 10 di Denis Law è rarissima. Prendo anche quella, compro il programma che qui è un "must" e entro.
Il Chelsea Village sembra tutto fuorché uno stadio. Un immenso hotel, una quantità di bar e ristoranti (fra cui un McDonald's), uno shopping center con tutto il merchandising possibile. La gente fa la coda per tutto.
Dentro lo stadio il mio posto è accanto a un papà con il figlio e a un altro che continua a ripetere a bassa voce, come fra sé e sé: "c'mon Chels...", senza la "ea" finale. Una sorta di supplica che ripeterà per tutta la partita. Agli angoli fra North Stand e East Stand e fra West Stand e South Stand ci sono due enormi tabelloni a colori. Nel prepartita serviranno a mandare le formazioni e la pubblicità. Durante la partita ripeteranno puntuali le più importanti azioni da gol.
Dentro, fa impressione tutto. La compostezza del tifo (ma gli hooligans, si materializzano solo quando vanno all'estero?), i canti incessanti, reti di recinzione striscioni e bandiere che non esistono.Sembra proprio che si tratti di una questione di quartiere e non del campionato inglese. Il più prestigioso del mondo, forse. E questa sensazione si trasformerà in certezza nel dopo-partita.
Per un appassionato, questo è davvero il calcio. Veder lanciare Beckham dal vivo, palloni che tagliano precisi il campo per decine di metri, merita il commento che il padre qui accanto fa al figlio quando David serve sui piedi Cole: "Oh, that's amazing my son!".
La partita finisce 1-1, con gol di Hasselbaink per il Chelsea e pareggio di Cole. A Zola - a torto o a ragione, chissà - viene annullato un gol memorabile, con palla calciata praticamente dal corner dopo avere scartato il portiere uscito a vanvera. La palla, dice l'arbitro, era fuori.
Me ne sono uscito pensando che lo spettacolo fosse finito. Maledicendo l'arbitro perché quella avrebbe potuto essere la partita in cui Zola scartò il portiere e segnò dal calcio d'angolo. Roba da storia del calcio.
Faccio per andarmene ma vedo dei ragazzini andare tutti verso una direzione. Hanno fogli e penne in mano. E macchine fotografiche.
Ci sono delle transenne a mezzo metro da un pullman. I ragazzini sono accalcati lì attorno. Macché ragazzini: ci sono famiglie intere, con le mamme a far da vedetta da lontano e a annunciare il campione in arrivo. C'è una ragazza bionda che ha in una mano la maglietta di Beckham, nell'altra un pennarello. È in equilibrio sulla transenna. Ci starà mezz'ora. Vedrà passare e firmare autografi a Neville, Solskjaer, Brown e Giggs. Altri salgono dritti sul pullman. Beckham, da vera star, arriva per ultimo. Scommetterei non so cosa che tirerà dritto. Macché. Si ferma. Accontenta la ragazza bionda che ora ha le lacrime agli occhi e tutti quelli che gli porgevano un foglietto. Partito il pullman, ci si è spostati verso l'uscita dei giocatori del Chelsea. Com'è andata lo sapete.
Tutta un'altra cosa, vedere il calcio in Inghilterra.

Roberto Ferrucci

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