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redarrowleft.GIF (53 byte) Letture & Scritture Dicembre 2000  a cura di Francesco Roat
 

Il Natale del Terzo Millennio
fra sbirri, orchi e arte digitale

In questo 2000 sempre più inafferrabile e inquietante anche i libri sugli orchi non sono favole ma realtà. Così sotto l’albero ecco tre letture non proprio morbide: un sos anti-pedofili, una Palermo fatta di poliziotti teneri e tremendi e il futuro incerto di un arte sempre più tecnologica. Nell’attesa che qualcuno ci dica, ora che siamo adulti, che Babbo Natale esiste veramente

Sul versante letterario in Sicilia non è presente solo il commissario Montalbano di Camilleri a combattere la malavita. Ci sono anche gli "sbirri" descritti così empaticamente (sarà che lo scrittore è un agente della Questura) da Piergiorgio di Cara, al suo esordio narrativo in "Cammina, stronzo" (DeriveApprodi). Uomini spietati coi mafiosi, ma anche tenerissimi – specie se una collega ha "un bel culo" –; veri e propri antieroi condannati loro malgrado a ritmi impossibili, fatti magari di turni di ventriquattr’ore da sopportare solo con l’ausilio di panini, sigarette e caffè. Uomini duri controvoglia; costretti a una vita e a un lavoro (che, per l’impegno e la durata del secondo, spesso finiscono per equivalere) all’insegna di "impegni presi e persi" e di "cose che non vanno", molte, in una città – Palermo – la quale appena a tarda notte pare normale, "però sappiamo che non lo è".

Una città "crocevia di civiltà, di culture", ma anche covo di cosche criminali e teatro di efferatezze senza eguali. Lì si muovono ed operano gli umanissimi sbirri di Cammina, stronzo, spesso in bilico tra paura e coraggio, fra la tentazione di gettare la divisa alle ortiche e il giusto orgoglio per un’attività che però, sebbene esaltante, "ti curva e ti invecchia".

Così finisce che si assomigliano un po’ tutti i poliziotti dal linguaggio un po’ scurrile, caro alla scrittura vivace di Di Cara – un mix di gergalità pluristratificata: dal lessico da caserma a quello malavitoso, dal dialetto (stupendo e musicale come è sempre quello siciliano) a un parlato/colloquiale che a tratti si accende di qualche metafora forbita – e non a caso uno di loro, che torna più volte sulla scena di questi racconti mozzafiato, si chiama Cardìa: anagramma del nome dell’autore. Certo, fra di loro non manca la pecora nera: lo sbirro cattivo de "La polizia non paga". Ma più che un disonesto o malvagio egli ci sembra piuttosto un perdente, schiacciato dal lavoro a cui non crede più e dal matrimonio a rotoli. Insomma, parafrasando Nietzsche, ci appare alla fine anche lui terribilmente umano, troppo umano.

 

L’arte moderna si presenta al contempo "totale e incompiuta" ed ogni rappresentazione: iconica, verbale, gestuale, digitale in quanto ambisce a superare ogni limite o confine tende a contaminarsi, accogliendo "l’irregolarità e l’imperfezione"; però al contempo rifiuta ogni retorica, ogni ideale assolutizzante di compiutezza, di significazione esaustiva. Questa, in estrema sintesi, al di là dell’analisi intorno alle trasformazioni dei generi artistici in rapporto alla recente evoluzione/rivoluzione tecnologica, mi sembra la riflessione cardine del pur articolatissimo saggio di Valentina De Angelis "Arte e linguaggio nell’era elettronica" (Bruno Mondadori).

Come la consapevolezza – già peraltro sottolineata da J. Mukarovsky – di quanto l’esteticità diffusa abbia via via assunto un posto preminente presso le società occidentali al tramonto del secondo millennio; al di là dell’arte in senso stretto, ovviamente. Si pensi solo a fenomeni pervasivi come la moda, i mass media o la pubblicità; con tutto ciò che ne consegue rispetto all’ipertrofia del mero "piacere" estetico senza più riflessione critica alcuna. Non a caso, sottolinea l’autrice, negli ultimi tempi, anche grazie all’informatica, "il potere della visione diventa esorbitante"; in primo luogo ibridando pericolosamente arte e comunicazione, in secondo poiché l’immagine filmica, catodica o fotografica può prescindere totalmente dal referente oggettivo – in parole povere da cose o persone – fino a creare un mondo suo proprio, del tutto virtuale e avulso da quello reale.

Così il vissuto mediatico si sostituisce a quello fisico, nonostante il computer possa realizzare immagine iperrealistiche, col rischio di non riuscire più a distinguere tra finzione e realtà. Per non parlare della "rinuncia a una decodifica interiore" di fronte all’aumento di messaggi e alla rapidità cangiante/stressante degli stimoli visivi. Così l’immagine tende sempre più verso la perfezione formale del segno e, ad onta di ogni effetto tridimensionale, rimane paradossalmente alla superficie. Allora – dice bene De Angelis – cogliere le immagini e il loro senso divengono due operazioni ben distinte, ma non è sempre facile realizzare la seconda; sebbene sia condivisibile il fatto che la mutazione cibernetica possa in ogni caso consentire "straordinarie capacità di sintesi, di accumulo e di selezione".

 

Parole per uccidere l’orco. E’ il sottotitolo del libretto, o del dialogo a due voci edito da Baldini & Castoldi "SOS Pedofilia", dello scrittore Claudio Camarca e della psicoterapeuta Maria Rita Parsi. Un colloquio serrato per fare il punto sulla pedofilia, anzi sulla pedofobia – come sostiene la psicologa –, ritenendo che non vi sia nessun "amore" verso i piccoli da parte dei pedofili, ma piuttosto un odio conseguente alla paura di quel bambino interiore "che, nel cuore di ogni orco, è stato sconfitto, umiliato, negato, piegato, brutalizzato, incattivito". Un rancore fatto di attrazione e ripulsa: mix micidiale che sa esprimersi solo attraverso la violenza, mediante comportamenti i quali – vale la pena ribadire la pregnanza etimologica del termine – violano appunto, profanandola, l’innocenza del bambino e demoliscono la sua infanzia con abusi volti a ottenere prestazioni sessuali che non appartengono certo allo statuto infantile. In quest’ottica il pedofilo è quindi un vero e proprio orco che, possedendo il bimbo, lo "uccide" in quanto tale forzandolo ad assumere atteggiamenti adulti e negandolo come persona per ridurlo a mero oggetto di piacere.

Eppure, insistono gli autori, nonostante la gravità del fenomeno di pedofilia si parla ancora troppo poco e solo nel caso in cui la violenza dell’orco si fa omicida. I dati, invece, sono allarmanti. Su 18 milioni di adulti che durante l’anno praticano il cosiddetto turismo sessuale, il 10% di loro ama intrattenersi sessualmente con minori di 14 anni. Ben 7 milioni sono i piccoli che in tutto il mondo vengono avviati alla prostituzione infantile, che ogni anno aumenta di circa 800.000 casi. Nei soli Stati Uniti ammontano a 250 le riviste che si occupano di pornografia pedofila, e il giro d’affari del mercato legato alla pedofilia è stimato intorno alla bella cifra di 10 miliardi di dollari all’anno.

Purtroppo – denunciano Camarca e Parsi – "la pedofilia è l’esatta riproduzione di una società incentrata sui poteri". Una società consumistica e manipolatoria, presso cui si determina la "negazione assoluta del bambino" che non è più "al centro del nostro universo". Ma i nostri figli, se lasciati a se stessi, non sufficientemente amati, considerati, integrati (o, specularmente, se iperprotetti), possono diventare vittime delle attenzioni malsane dell’orco. Meditate, gente, meditate.

Francesco Roat

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