Cultura Dicembre 2000
Dalla terra al Cielo
e ritorno:
la Torre di Babele, spirale logaritmica negata
Come il segno della
sezione aurea e della spirale logaritmica, presente in natura e
nell’arte, destruttura e inverte la propria immagine nella
rappresentazione della Torre di Babele.
Il racconto biblico della Torre di
Babele (Genesi 11, 1-9) si trova alla fine dei capitoli sull’origine
dell’umanità e precede le vicende dei patriarchi, adombrando,
con la conclusione della fase mitica della creazione del mondo, l’inizio
del periodo storico in cui si formano gli imperi e le città.
Nella tradizione
veterotestamentaria, la Torre di Babele è lo zìqqurat della
città di Babilonia, Etemenanki "fondamento di cielo e
terra", sorto per la folle volontà del re Nembrot.
Essa, perciò, è assurta nella
tradizione religiosa quale simbolo della tracotanza dell’uomo
che pretende di raggiungere l’Infinito con i suoi mezzi finiti (1),
benché nelle scritture venga messo in evidenza che la costruzione
costituisce un tentativo disperato dell’uomo di riallacciare –
anche contro la volontà di Dio stesso - il patto tra sé e Lui,
spezzato a causa del peccato originale. In tal senso la
costruzione affermerebbe un’aspirazione alla rigenerazione, al
ripristino della condizione primigenia di pace e di unità con
Dio.
Del resto, tale aspirazione al
ricongiungimento o quantomeno al tentativo di avvicinarsi
maggiormente alla divinità è affermata dalla stessa struttura
architettonica della tipica costruzione templare mesopotamica, la zìqqurat,
appunto, di cui esistono ancora cospicue e ben leggibili rovine,
come quelle della zìqqurat del santuario dell’Enanna a
Uruk o quella, ancor meglio conservata di Ur. Si tratta di edifici
costituiti da gradoni sovrapposti, sempre più stretti e congiunti
da scalee, spesso a 7 piani, quanti erano i corpi celesti allora
visibili. Si tratta di una sorta di tempio-palazzo, un’autentica
cittadella dove vive il re che trae dal dio la propria autorità e
ne rappresenta in terra la presenza. Un luogo privilegiato per lo
svolgimento dei rituali sacri e, quindi, particolarmente vicino a
dio.
Un ulteriore significato simbolico
della Torre di Babele, difforme da quello fornito dalla
interpretazione più comune delle Scritture, viene offerto,
inoltre, da una leggenda ebraica del Talmud, la quale narra
come, nel corso dei lavori di costruzione della torre, un operaio
precipitasse da una impalcatura altissima e piombasse a terra
morendo. I capomastri, che avevano avuto ordine di concludere più
in fretta possibile l’innalzamento della Torre, desiderando
adempiere a tale direttiva per divenire famosi, non prestarono
alcuna attenzione alla sventura appena accaduta e, senza far
sospendere nemmeno per un attimo le attività in segno di lutto,
comandarono che il cadavere fosse portato via in modo sbrigativo.
Due giorni dopo, una pietra si scalzò misteriosamente dal muro
indebolendone la struttura e facendolo crollare. Moltissimo si
dolsero per questa pietra caduta i signori della costruzione,
pensando ai costi causati dal rallentamento del cantiere;
dimostravano così di dare assai più valore ad una pietra che
alla vita di un uomo. E Dio volle punirli con la confusione delle
lingue (il termine stesso "Babele" deriva, com’è
noto, dalla radice semitica "bbl" che significa
"confondere").
L’episodio ricondurrebbe, dunque,
la punizione divina non già contro una generica trasgressione
dell’uomo nel suo tentativo di contrastare il proprio destino di
attesa di espiazione e perdono, quanto, invece, contro la tirannia
che, opprimendo l’umanità la fa esplodere, dividendola
in fazioni ostili: una società senza amore è votata alla dispersione
e il castigo è, come per il peccato originale, la punizione di
una colpa dovuta alla mancanza di misura.
L’unione può essere ricostituita
solo dalla venuta di Cristo e l’apparizione delle lingue di
fuoco della Pentecoste ne è simbolo risanatore (Atti 2, 3),
emblematicamente riaffermato dal fatto che l’assemblea degli
astanti, rappresentanti dei più diversi popoli della terra,
riesce a comprendere perfettamente, come se fosse la propria, la
lingua degli apostoli galilei (Atti 3, 4-12). Tale concetto di riunione è, poi, ribadito
anche dalla visione apocalittica dell’assemblea delle nazioni in
Cielo (Apocalisse 7, 9-10; 14-17). Questi due eventi narrati dalle
sacre scritture testimoniano, dunque, l’aspirazione dell’uomo
ad una nuova società governata dall’Agnello, modello opposto a
quello della Torre di Babele che è caratterizzata dall’incomprensione
e dalla dispersione.
Eppure Babilonia, che in tale
contesto costituisce la metafora esattamente contraria a quella
della Gerusalemme Celeste, nel suo significato etimologico vuol
dire "porta di Dio". Erodoto, storico greco del V secolo
a.C., ne tesse le lodi: "E’ una città così magnifica che
non ce n’è al mondo un’altra che le si possa
paragonare". Le sue mura di cinta, i giardini pensili sono
fra le sette meraviglie del mondo. Tuttavia la bellezza che la
pervade sembra piena di uno splendore viziato: trionfo passeggero
del mondo sensibile, essa esalta solo la parte materiale dell’uomo
e lo disgrega.
Sembra dunque che il concetto guida
sia quello della divisione che ha il suo contrappunto nel
concetto dell’unione, della ricerca dell’uno, della
resurrezione evolutiva che ritrova in sé stessa forza e oggetto
della sua rinascita.
E’ proprio all’unità, al
principio generatore indiviso del tutto, che si rivolge
anche il principio filosofico dell’armonia, geometricamente
individuato nella sezione aurea
già dal matematico greco
Euclide, vissuto tra la fine del IV e l’inizio del III secolo
a.C., che ne spiega la funzione nei suoi Elementa. Si
tratta un rapporto fondamentale nella geometria ma è anche un
rapporto che ricorre con sorprendente frequenza in natura ed è
presente in tutto il cosmo.
Non stupisce, dunque, che la sua
applicazione matematica sia stata messa in pratica dall’architettura
templare antica, specie greca classica.
Questa misura, che è alla
base della nostra concezione di "bellezza", fa
riflettere sul fatto che già i pitagorici, nel VI secolo a.C.,
rilevando quanto era significativo nel cosmo (macrocosmo) e nell’uomo
(microcosmo)il principio di ordine e regolarità attribuissero a
tutta la natura una struttura matematica. Se si esamina il cosmo
in tutte le sue parti, infatti, se ne scopre l’ordine
onnipresente e matematicamente rappresentabile. Né può destare
sorpresa il fatto che questa "divina proporzione" (l’Uno),
venga espressa con un numero, 0,618, quando il rapporto tra la
misura piccola e quella grande corrisponde a questa regola celeste
(es 21:34 = 0,618 ; 21:34 = 0,618; ecc).
Un altro approccio alla sezione
aurea è offerto dallo studio della spirale logaritmica che
appare, dunque, anch’essa, processo di perfezione e come si
vedrà, emblema di rinascita.
Le sue origini sono antiche almeno
quanto quelle del segmento aureo e un caso particolare di spirale
logaritmica viene attribuita nientemeno che a Fidia, scultore e
architetto greco del V sec a.C .
Si consideri, inoltre, che lo
sviluppo di una spirale logaritmica è una nuova spirale
logaritmica. Lo scoperse un professore di matematica di Basilea,
Jacob Bernoulli (1654-1705) e ne concluse che la spirale si ripete
mediante evoluzione. Questa sua sorprendente risorsa fece sì che
la spirale logaritmica venisse considerata simbolo di
resurrezione.
Se poi si andasse a considerare la
spirale logaritmica in una terza dimensione, facendo crescere la
nuova coordinata (altezza) secondo la stessa legge applicata al
raggio, allora si otterrebbe la spirale logaritmica volumetrica:
la Torre di Babele che può avere il vertice sia rivolto verso l’alto
(Cielo) che verso il basso (Inferno).
Verrebbe ora da chiedersi se sia
non casuale che, nel corso della storia dell’arte, molte delle
forme date all’iconografia della Torre di Babele sia una
spirale.
Tra le più universalmente note è
una delle due tavole dipinte da Pieter Bruegel il Vecchio, La
grande Torre di Babele, firmata
e datata 1563, in legno di quercia, che appartenne alla collezione
dell’imperatore Rodolfo II e, dal 1659, a quella dell’arciduca
Leopoldo Guglielmo, e che materializza in sostanza visiva proprio
la dicotomia di due concezioni costruttive inconciliabili,
"impossibili" e tali da determinare, già al suo
nascere, la rovina dell’edificio: le rampe a chiocciola dell’esterno,
infatti, e la disposizione dei piani interni, strutturati in
livelli sovrapposti, la disposizione ad angolo retto, determinata
da ragioni statiche, delle verticali sulle rampe ascendenti,
condurrà necessariamente all’inclinazione della torre. In altri
termini: una forma perfetta, costruita sulla base di una
"divina proporzione", in cui il senso della
"misura" si compone nella ricerca della rigenerazione e
dell’unione, racchiude, però, al proprio interno il germe dell’imperfezione
che condurrà alla distruzione. Tutto ciò non può non porsi come
riflessione sulla vita e sulla storia, sulla contrapposizione tra
unità e separazione, tra follia e saggezza.
L’episodio biblico della Torre di
Babele era considerato, infatti, anche dalla cultura fiamminga
alla quale Brugel apparteneva, una sorta di parabola della
superbia e della follia umana, come è scritto anche nella Nave
dei Pazzi di Sebastian Brandt, pubblicata a Basilea nel 1494
(la stessa città dove, duecento anni dopo, il matematico
Bernoulli, compirà la sua meditazione sul valore evolutivo della
spirale logaritmica).
Il modello costituito dalla spirale
logaritmica sul quale viene impostata la forma della torre, in
bilico tra la perfezione matematica e la rovina, per le sue forti
pregnanze simboliche, è ripreso frequentemente dall’arte dei
secoli successivi e persino dall’architettura contemporanea;
pittura, scultura ed architettura ne riutilizzano, più o meno
consapevolmente, la forma. E’ il caso, ad esempio, del famoso Monumento
alla Terza Internazionale di Tatlin (1919-20)
o del più tardo The Solomon R. Guggenheim
Museum di New York, straordinaria esperienza di funzionalismo
architettonico, opera di F.Lloyd Wright (1943-59). Anche la
corrente organica americana rivisita la spirale con Bruce Goff e
la sua Casa Bavinger a Norman, Oklaoma (1951), mentre negli
anni Settanta testimoniano l’aderenza a questo sistema
costruttivo l’avveneristico grattacielo elicoidale calcolato da
Sergio Musmeci su progetto di Manfredi Nicoletti (1972) ed alcuni
famosi episodi della Land Art o Arte del Territorio, che attua con
lo statunitense Robert Smithson, un enorme imbarcadero a forma di
spirale, realizzato con l’ausilio di imponenti mezzi meccanici
per il movimento della terra e dei massi necessari alla
costruzione, il suggestivo Spiral Jetty (1970), che si
arrotola con "moto infinito" nella piatta distesa del
Great Salt Lake nello Utah.
E’ interessante notare come già
Nel 1956, il pittore svizzero Paul Klee, docente di spicco della
Bauhaus sia a Weimar nel 1920 che nella sede di Dessau dal 1926,
esponga in modo sistematico gli aspetti teorici che sono alla base
del suo programma pedagogico in Teoria della forma e della
figurazione saggio dove si trova sviluppato per un intero
capitolo il principio della spirale: "Il problema – egli
dice- è nientemeno quello della vita o della morte. Momento
radiale rispetto al centro progressivo verso la vita, regressivo
verso la morte. La decisione, in questo caso, spetta alla piccola
freccia".
Di che cosa, dunque è metafora la
Torre di Babele? Di ingegno tracotante? Di aspirazione alla
rinascita? Di tensione verso l’unità? Di volontà di
comunicazione? Di destino di dissoluzione e separazione? Oppure
significa il tentativo continuamente rinnovato di raggiungere, se
non il Paradiso perduto, almeno una visione del mondo quanto più
possibile vicina all’ordine unitario del Cosmo?
Giovanna
Grossato
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