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redarrowleft.GIF (53 byte) Cultura Dicembre 2000 

Dalla terra al Cielo e ritorno:
 la Torre di Babele, spirale logaritmica negata

Come il segno della sezione aurea e della spirale logaritmica, presente in natura e nell’arte, destruttura e inverte la propria immagine nella rappresentazione della Torre di Babele.

Il racconto biblico della Torre di Babele (Genesi 11, 1-9) si trova alla fine dei capitoli sull’origine dell’umanità e precede le vicende dei patriarchi, adombrando, con la conclusione della fase mitica della creazione del mondo, l’inizio del periodo storico in cui si formano gli imperi e le città.

Nella tradizione veterotestamentaria, la Torre di Babele è lo zìqqurat della città di Babilonia, Etemenanki "fondamento di cielo e terra", sorto per la folle volontà del re Nembrot.

Essa, perciò, è assurta nella tradizione religiosa quale simbolo della tracotanza dell’uomo che pretende di raggiungere l’Infinito con i suoi mezzi finiti (1), benché nelle scritture venga messo in evidenza che la costruzione costituisce un tentativo disperato dell’uomo di riallacciare – anche contro la volontà di Dio stesso - il patto tra sé e Lui, spezzato a causa del peccato originale. In tal senso la costruzione affermerebbe un’aspirazione alla rigenerazione, al ripristino della condizione primigenia di pace e di unità con Dio.

Del resto, tale aspirazione al ricongiungimento o quantomeno al tentativo di avvicinarsi maggiormente alla divinità è affermata dalla stessa struttura architettonica della tipica costruzione templare mesopotamica, la zìqqurat, appunto, di cui esistono ancora cospicue e ben leggibili rovine, come quelle della zìqqurat del santuario dell’Enanna a Uruk o quella, ancor meglio conservata di Ur. Si tratta di edifici costituiti da gradoni sovrapposti, sempre più stretti e congiunti da scalee, spesso a 7 piani, quanti erano i corpi celesti allora visibili. Si tratta di una sorta di tempio-palazzo, un’autentica cittadella dove vive il re che trae dal dio la propria autorità e ne rappresenta in terra la presenza. Un luogo privilegiato per lo svolgimento dei rituali sacri e, quindi, particolarmente vicino a dio.

Un ulteriore significato simbolico della Torre di Babele, difforme da quello fornito dalla interpretazione più comune delle Scritture, viene offerto, inoltre, da una leggenda ebraica del Talmud, la quale narra come, nel corso dei lavori di costruzione della torre, un operaio precipitasse da una impalcatura altissima e piombasse a terra morendo. I capomastri, che avevano avuto ordine di concludere più in fretta possibile l’innalzamento della Torre, desiderando adempiere a tale direttiva per divenire famosi, non prestarono alcuna attenzione alla sventura appena accaduta e, senza far sospendere nemmeno per un attimo le attività in segno di lutto, comandarono che il cadavere fosse portato via in modo sbrigativo. Due giorni dopo, una pietra si scalzò misteriosamente dal muro indebolendone la struttura e facendolo crollare. Moltissimo si dolsero per questa pietra caduta i signori della costruzione, pensando ai costi causati dal rallentamento del cantiere; dimostravano così di dare assai più valore ad una pietra che alla vita di un uomo. E Dio volle punirli con la confusione delle lingue (il termine stesso "Babele" deriva, com’è noto, dalla radice semitica "bbl" che significa "confondere").

L’episodio ricondurrebbe, dunque, la punizione divina non già contro una generica trasgressione dell’uomo nel suo tentativo di contrastare il proprio destino di attesa di espiazione e perdono, quanto, invece, contro la tirannia che, opprimendo l’umanità la fa esplodere, dividendola in fazioni ostili: una società senza amore è votata alla dispersione e il castigo è, come per il peccato originale, la punizione di una colpa dovuta alla mancanza di misura.

L’unione può essere ricostituita solo dalla venuta di Cristo e l’apparizione delle lingue di fuoco della Pentecoste ne è simbolo risanatore (Atti 2, 3), emblematicamente riaffermato dal fatto che l’assemblea degli astanti, rappresentanti dei più diversi popoli della terra, riesce a comprendere perfettamente, come se fosse la propria, la lingua degli apostoli galilei (Atti 3, 4-12). Tale concetto di riunione è, poi, ribadito anche dalla visione apocalittica dell’assemblea delle nazioni in Cielo (Apocalisse 7, 9-10; 14-17). Questi due eventi narrati dalle sacre scritture testimoniano, dunque, l’aspirazione dell’uomo ad una nuova società governata dall’Agnello, modello opposto a quello della Torre di Babele che è caratterizzata dall’incomprensione e dalla dispersione.

Eppure Babilonia, che in tale contesto costituisce la metafora esattamente contraria a quella della Gerusalemme Celeste, nel suo significato etimologico vuol dire "porta di Dio". Erodoto, storico greco del V secolo a.C., ne tesse le lodi: "E’ una città così magnifica che non ce n’è al mondo un’altra che le si possa paragonare". Le sue mura di cinta, i giardini pensili sono fra le sette meraviglie del mondo. Tuttavia la bellezza che la pervade sembra piena di uno splendore viziato: trionfo passeggero del mondo sensibile, essa esalta solo la parte materiale dell’uomo e lo disgrega.

Sembra dunque che il concetto guida sia quello della divisione che ha il suo contrappunto nel concetto dell’unione, della ricerca dell’uno, della resurrezione evolutiva che ritrova in sé stessa forza e oggetto della sua rinascita.

E’ proprio all’unità, al principio generatore indiviso del tutto, che si rivolge anche il principio filosofico dell’armonia, geometricamente individuato nella sezione aurea già dal matematico greco Euclide, vissuto tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., che ne spiega la funzione nei suoi Elementa. Si tratta un rapporto fondamentale nella geometria ma è anche un rapporto che ricorre con sorprendente frequenza in natura ed è presente in tutto il cosmo.

Non stupisce, dunque, che la sua applicazione matematica sia stata messa in pratica dall’architettura templare antica, specie greca classica.

Questa misura, che è alla base della nostra concezione di "bellezza", fa riflettere sul fatto che già i pitagorici, nel VI secolo a.C., rilevando quanto era significativo nel cosmo (macrocosmo) e nell’uomo (microcosmo)il principio di ordine e regolarità attribuissero a tutta la natura una struttura matematica. Se si esamina il cosmo in tutte le sue parti, infatti, se ne scopre l’ordine onnipresente e matematicamente rappresentabile. Né può destare sorpresa il fatto che questa "divina proporzione" (l’Uno), venga espressa con un numero, 0,618, quando il rapporto tra la misura piccola e quella grande corrisponde a questa regola celeste (es 21:34 = 0,618 ; 21:34 = 0,618; ecc).

Un altro approccio alla sezione aurea è offerto dallo studio della spirale logaritmica che appare, dunque, anch’essa, processo di perfezione e come si vedrà, emblema di rinascita.

Le sue origini sono antiche almeno quanto quelle del segmento aureo e un caso particolare di spirale logaritmica viene attribuita nientemeno che a Fidia, scultore e architetto greco del V sec a.C .

Si consideri, inoltre, che lo sviluppo di una spirale logaritmica è una nuova spirale logaritmica. Lo scoperse un professore di matematica di Basilea, Jacob Bernoulli (1654-1705) e ne concluse che la spirale si ripete mediante evoluzione. Questa sua sorprendente risorsa fece sì che la spirale logaritmica venisse considerata simbolo di resurrezione.

Se poi si andasse a considerare la spirale logaritmica in una terza dimensione, facendo crescere la nuova coordinata (altezza) secondo la stessa legge applicata al raggio, allora si otterrebbe la spirale logaritmica volumetrica: la Torre di Babele che può avere il vertice sia rivolto verso l’alto (Cielo) che verso il basso (Inferno). 

Verrebbe ora da chiedersi se sia non casuale che, nel corso della storia dell’arte, molte delle forme date all’iconografia della Torre di Babele sia una spirale.

Tra le più universalmente note è una delle due tavole dipinte da Pieter Bruegel il Vecchio, La grande Torre di Babele, firmata e datata 1563, in legno di quercia, che appartenne alla collezione dell’imperatore Rodolfo II e, dal 1659, a quella dell’arciduca Leopoldo Guglielmo, e che materializza in sostanza visiva proprio la dicotomia di due concezioni costruttive inconciliabili, "impossibili" e tali da determinare, già al suo nascere, la rovina dell’edificio: le rampe a chiocciola dell’esterno, infatti, e la disposizione dei piani interni, strutturati in livelli sovrapposti, la disposizione ad angolo retto, determinata da ragioni statiche, delle verticali sulle rampe ascendenti, condurrà necessariamente all’inclinazione della torre. In altri termini: una forma perfetta, costruita sulla base di una "divina proporzione", in cui il senso della "misura" si compone nella ricerca della rigenerazione e dell’unione, racchiude, però, al proprio interno il germe dell’imperfezione che condurrà alla distruzione. Tutto ciò non può non porsi come riflessione sulla vita e sulla storia, sulla contrapposizione tra unità e separazione, tra follia e saggezza.

L’episodio biblico della Torre di Babele era considerato, infatti, anche dalla cultura fiamminga alla quale Brugel apparteneva, una sorta di parabola della superbia e della follia umana, come è scritto anche nella Nave dei Pazzi di Sebastian Brandt, pubblicata a Basilea nel 1494 (la stessa città dove, duecento anni dopo, il matematico Bernoulli, compirà la sua meditazione sul valore evolutivo della spirale logaritmica).

Il modello costituito dalla spirale logaritmica sul quale viene impostata la forma della torre, in bilico tra la perfezione matematica e la rovina, per le sue forti pregnanze simboliche, è ripreso frequentemente dall’arte dei secoli successivi e persino dall’architettura contemporanea; pittura, scultura ed architettura ne riutilizzano, più o meno consapevolmente, la forma. E’ il caso, ad esempio, del famoso Monumento alla Terza Internazionale di Tatlin (1919-20)  o del più tardo The Solomon R. Guggenheim Museum di New York, straordinaria esperienza di funzionalismo architettonico, opera di F.Lloyd Wright (1943-59). Anche la corrente organica americana rivisita la spirale con Bruce Goff e la sua Casa Bavinger a Norman, Oklaoma (1951), mentre negli anni Settanta testimoniano l’aderenza a questo sistema costruttivo l’avveneristico grattacielo elicoidale calcolato da Sergio Musmeci su progetto di Manfredi Nicoletti (1972) ed alcuni famosi episodi della Land Art o Arte del Territorio, che attua con lo statunitense Robert Smithson, un enorme imbarcadero a forma di spirale, realizzato con l’ausilio di imponenti mezzi meccanici per il movimento della terra e dei massi necessari alla costruzione, il suggestivo Spiral Jetty (1970), che si arrotola con "moto infinito" nella piatta distesa del Great Salt Lake nello Utah.

E’ interessante notare come già Nel 1956, il pittore svizzero Paul Klee, docente di spicco della Bauhaus sia a Weimar nel 1920 che nella sede di Dessau dal 1926, esponga in modo sistematico gli aspetti teorici che sono alla base del suo programma pedagogico in Teoria della forma e della figurazione saggio dove si trova sviluppato per un intero capitolo il principio della spirale: "Il problema – egli dice- è nientemeno quello della vita o della morte. Momento radiale rispetto al centro progressivo verso la vita, regressivo verso la morte. La decisione, in questo caso, spetta alla piccola freccia".

Di che cosa, dunque è metafora la Torre di Babele? Di ingegno tracotante? Di aspirazione alla rinascita? Di tensione verso l’unità? Di volontà di comunicazione? Di destino di dissoluzione e separazione? Oppure significa il tentativo continuamente rinnovato di raggiungere, se non il Paradiso perduto, almeno una visione del mondo quanto più possibile vicina all’ordine unitario del Cosmo?

Giovanna Grossato

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