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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Giugno 2000


Gladiatore e gentiluomo

Lodato dalla critica e in continua ascesa: da L.A. Confidential a The Insider fino ad American Beauty. Ma dietro al successo dell’attore neozelandese Russel Crowe, il generale Massimo nel film "epico" di Ridley Scott, c’è una scelta personale. Decisa quando dieci anni fa sbarcò negli Usa: "Voglio la qualità"

Vera e propria reinvenzione di un genere cinematografico, Il gladiatore è un film spettacolare ed emozionante. Come in Quo vadis la storia inizia con gli ultimi giorni di Marco Aurelio durante la guerra contro i barbari nell’attuale Austria. Storicamente curata e visivamente ineccepibile, questa pellicola lascia intuire che il suo regista Ridley Scott abbia riconquistato uno stile e una freschezza espressiva sepolti troppo a lungo sotto una sequela di film non propriamente esaltanti.

Il protagonista è Russel Crowe – attore in continua ascesa - che incarna alla perfezione l’eroe depositario delle antiche tradizioni, il generale senza paura vittima di un contrasto insanabile contro Commodo, figlio degenere e assassino dell’imperatore che voleva restituire Roma alla repubblica. Catturato e creduto morto da tutti, il militare viene venduto come schiavo e finisce per duellare come gladiatore in una sperduta arena africana. Un film lirico dai toni vagamente New Age reso ancora più gradevole dalla immaginifica colonna sonora realizzata da Hans Zimmer e dalla fascinosa voce dell’ex cantante dei Dead Can Dance, Lisa Gerrard. Nel cast oltre all’attore neozelandese che presto rivedremo nel nuovo film diretto da Jodie Foster Flora Plum anche Joaquin Phoenix e la stupenda Connie Nielsen, già apprezzata ne L’avvocato del diavolo e protagonista anche di Mission to Mars di Brian De Palma attualmente nelle sale.

Mr. Crowe, qual è per lei la fascinazione esercitata sul pubblico dalle storie ambientate durante l’impero romano?

E’ il risultato di una combinazione di fattori: una società altamente sviluppata fondata su un forte senso dello Stato e una tecnologia particolamente avanzata come quella legata agli acquedotti e alle terme. E questo livello di sofisticazione si infrange contro la brutalità del Colosseo e la voglia di espansione militare e politica dei romani. Questi elementi spesso contrastanti esercitano ancora un fascino intatto sul pubblico.

Da Spartacus di Stanley Kubrick ad oggi, cosa è cambiato nel raccontare gli eroi della Roma antica?

Quelli di Spartacus, Ben Hur e Cleopatra sono eroi bidimensionali da Cinemascope. Oggi il tempo richiede personaggi più complessi di cui tutti possano condividere i drammi e comprendere le scelte. Devo confessare, però, che io amo moltissimo quel tipo di cinema.

Il gladiatore è più una storia di vendetta o di lealtà?

E’ qualcosa di molto più complesso. Sarebbe troppo semplicisitico dire che è una storia di vendetta. Questa sembra potere giungere inaspettata e dal mio punto di vista Massimo più volte contempla il suicidio come la forma principale di liberazione. La sua integrità morale lo richiede come un requisito fondamentale.

Come è stato per lei lavorare con Ridley Scott?

Credo di essermi sentito come coloro che si trovavano al fianco di Picasso mentre dipingeva. Vederlo dirigere con grande tranquillità sei o sette macchine da presa al tempo stesso, con la classe e lo stile di un direttore di orchestra è un’esperienza assolutamente unica.

La sua notorietà presso il grande pubblico le è arrivata con The insider una pellicola per cui è ingrassato di trenta chili e ha interpretato il ruolo di un uomo molto più vecchio di lei. In più una nomination all’Oscar sfumata contro il Kevin Spacey di American Beauty…

Dopo il grande successo di L.A. Confidential ho avuto l’opportunità di seguire con tranquillità la scelta che avevo fatto dieci anni fa arrivano in America: la qualità innanzi tutto. Decido di interpretare un film in base a quanto mi sento attratto dalla storia. Per quanto riguarda Insider un giorno mi chiama Michael Mann e mi dice quello che voleva da me. Gli dico: "Ma io non ho cinquant’anni e non assomiglio nemmeno al Dottor Wigland…" lui mi risponde: "Caro Russell, qui non si tratta di aspetto fisico. Conta quello che hai dentro…" Così ho conosciuto questo scienziato e ho cercato di diventare lui.

Cosa è stato più difficile per lei?

Vedermi sullo schermo. Io sapevo chi era Wigland e non volevo accorgermi di essere diventato solo un mediocre doppione. La produzione mi ha obbligato a vedere il film…

Cosa ha provato?

Onestamente credo di avere fatto un lavoro decente, ma la prego di non chiedermi altro.

Michael Mann, già regista di Heat, conferma, così, la sua fama di duro…

E’ vero, ma devo dire che per me ha rappresentato un’esperienza molto interessante. Non avevo mai interpretato una persona reale e questo mi ha risvegliato dal mio torpore di attore che vive in un mondo quasi di fantasia. E’ stata una vera sfida…

Marco Spagnoli

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