Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Giugno 2000


I FILM DI GIUGNO 2000

Scelti da Nautilus

Bossanova {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Amy Irving – Antonio Fagundes Sceneggiatura Alexandre Machado & Luiz Carlos Barreto tratta dal romanzo Miss Simpson di Sergio Sant’Anna Regia Bruno Barreto Anno di produzione USA 2000 Distribuzione Columbia Durata 95’

L’eleganza e il tono sexy sono i principali elementi di rilievo di questa commedia vecchio stile che il regista Bruno Barreto ha filmato in una Rio da sogno con protagonista sua moglie, l’attrice americana Amy Irving. E come la Bossanova è una musica che nasce dalla contaminazione tra il jazz e le atmosfere tipiche della canzone brasiliana, questo film che ne porta il nome, dedicato a François Truffaut e a Antonio Jobim, è una pellicola figlia delle commedie di Frank Capra e Howard Hughes 1a cavallo della seconda guerra mondiale. Un film americano girato nella città carioca, che segue una serie di figure maschili e femminili molto diverse tra loro, tutte in qualche maniera connesse con un’avvenente insegnante d’inglese che fa perdutamente innamorare di sé ogni uomo che incontra. Anche personaggi all’estremo come un anziano ed elegantissimo avvocato o il calciatore cafone arricchito che il regista ha ricalcato su una fusione dei due veri nazionali brasiliani Edmundo e Romario. Una pellicola fatta di sentimenti e di passioni estreme, illuminata da una fotografia di sogno e da una musica commovente. Bossanova è un film da non perdere, perché pur essendo stato girato in Sudamerica da un regista locale, è figlio ed erede di una commedia più ampia. D’argomento simile a quelle italiane e francesi del dopoguerra, ritmata dai toni tipici del classico film americano. Divertente, a tratti esilarante Bossanova sa anche essere una riflessione leggera e amara sull’amore, tenuta su da un tono elegante e da uno stile interpretativo e recitativo assai raffinato.

28 giorni (28 days) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Sandra Bullock – Viggo Mortensen Sceneggiatura Susannah Grant Regia Betty Thomas Anno di produzione USA 2000 Distribuzione Columbia Tristar Durata 100’

Diretto dalla regista dell’esilarante Private Parts Betty Thomas, ex sergente della serie televisiva Hill street giorno e notte, 28 giorni è una commedia molto dura, in cui i toni del film drammatico, vengono in gran parte smorzati dalla grazia di una ritrovata Sandra Bullock. Messi da parte i panni dell’eterna brava ragazza della porta accanto, la Bullock offre un’interpretazione ammanierata, ma comunque interessante nei panni dell’alcolista condannata – dopo un incidente d’auto molto grave – a scegliere tra la prigione e il centro di riabilitazione. Un luogo dove stare i ventotto giorni del titolo, dovendo – innanzitutto - imparare ad accettare la propria difficile condizione. Ed è forse questo l’elemento più interessante di questo film che – in qualche maniera – ricorda il recente Ragazze interrotte con protagoniste Winona Ryder e Angelina Jolie. Una coincidenza dovuto ad un comune difficile percorso di riabilitazione mentale. Nel caso del film con la Bullock, però, l’elemento decisamente più rilevante e apprezzabile (nonostante tutte le inevitabili ‘americanate’ cui assistiamo e che possiamo, però, perdonare) è la doppia faccia dell’alcolismo che viene mostrata nel film. Sballo divertente e sexy all’inizio, incubo capace di uccidere l’anima e il corpo man mano che la protagonista acquista consapevolezza di sé. 28 giorni non è facile, né emozionante. Non ha la tragicità lirica di pellicole dedicate alle malattie come Risvegli e Qualcuno volò sul nido del cuculo e questa – paradossalmente – è la sua vera forza. L’alcolismo inteso come malattia non viene elevato al di sopra della sua essenziale squallida tragicità, bensì ricondotto a quello che è: un vizio che solo in America è la nona causa di morte per i cittadini. Un film duro dal messaggio positivo in cui la Bullock riconquista gran parte del terreno perduto nelle precedenti pellicole.

Il cielo cade {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Isabella Rossellini – Jeroen Krabbé Sceneggiatura Suso Cecchi D’Amico tratta dal romanzo omonimo di Lorenza Mazzetti Regia Andrea e Antonio Frazzi Anno di produzione Italia 2000 Distribuzione LUCE Durata 100’

Ispirato ad una storia realmente accaduta ad una famiglia ebrea durante la seconda guerra mondiale, Il cielo cade pur seguendo uno stile eccessivamente televisivo è una pellicola commovente ed enigmatica, perché il senso della barbarie nazista si accentua con il confronto con la quiete della campagna toscana dove è ambientato. Un film di sentimenti semplici ed armoniosi, una tragedia mondiale raccontata attraverso lo sguardo innocente di due bambine tenerissime, costrette a fare i conti con il loro affetto nei confronti di uno zio tanto buono e caro, quanto cocciuto e testardo nel suo essere un gentiluomo di nobili natali. Affetto e onestà, amor proprio e crudeltà si inseguono in questo film che a pieno titolo si può definire come una delle migliori pellicole italiane della stagione. Un film intenso e semplice che proprio facendo appello al senso di ingenua onestà delle bambine attraverso i cui occhi vediamo dipanarsi la storia, ci rende ancora più insopportabile l’orrore che si sta per abbattere sul piccolo centro toscano. Un elemento invisibile per gran parte della storia, utilizzato con sapienza dai due autori dal punto di vista narrativo che fino all’ultimo ci fanno credere quello che non è e che potrebbe essere.

Per amore dei soldi (Where the money is) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Paul Newman – Linda Fiorentino – Dermot Mulroney Sceneggiatura E.Max Frye – Topper Lilien – Carrol Cartwright Regia Mark Kanievska Anno di produzione USA 2000 Distribuzione MEDUSA Durata 82’

Prodotto da Ridley Scott e da suo fratello Tony, regista di Top Gun e Attacco al potere, l’ultimo film con Paul Newman ha un tono vagamente celebrativo. Non tanto di un personaggio, quanto piuttosto di un attore che su ogni centimetro della sua pelle ha tatuato un pezzo di storia del cinema. Così la trama del ladro che finge di avere un ictus per fuggire dalla prigione dove è rinchiuso e recuperare un bottino rimasto in mano al suo complice ricalca in qualche maniera i vecchi classici che hanno visto protagonista l’attore americano nei suoi anni d’oro a cavallo tra in Cinquanta e Sessanta. Coadiuvato da una Linda Fiorentino sexy e convincente nel ruolo dell’infermiera insoddisfatta della propria vita che sogna un grande colpo per lasciare la città di provincia dove abita, Newman nonostante l’età è ancora un interprete carismatico e fascinoso. Continua a bucare lo schermo con le sue espressioni personalissime e – nonostante i segni del tempo – aggiunge alla sua galleria di duri, un altro personaggio decisamente ‘tosto’. E’ vero, il film ha poca introspezione psicologica e molti passaggi sono dati per scontati, eppure Per amore dei soldi ha un fascino particolare e innegabile. Una pellicola semplice, distensiva, indolore in cui il vecchio leone Newman dimostra che il tempo può arrivare a non significare quasi nulla se una sceneggiatura adeguata e un regista in sintonia riescono a mettere a suo agio una delle più grandi glorie del cinema internazionale.

200 sigarette (200 cigarettes) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Ben Affleck, Casey Affleck, Dave Chappelle, Angela Featherstone, Courtney Love, Jay Mohr, Martha Plimpton, Christina Ricci, Paul Rudd Sceneggiatura: Shana Larsen Regia Risa Bramon Garcia- Distribuzione MEDUSA Anno di produzione USA 1999 Durata 101’

Doveva capitare che con lo scorrere del tempo l’attenzione cinematografica verso il vicino passato. Così, 200 sigarette è una commedia generazionale interpretata da un notevole collettivo di attori con la marcia in più dello straordinario cameo del musicista Elvis Costello. Un film divertente e originale per raccontare la notte del capodanno 1982 in una New York capitale dell’edonismo reaganiano, ancora distante dall’era della recessione. Un ‘come eravamo’ a tratti esilarante per raccontare i trentenni di vent’anni fa alle prese con le loro problematiche sessuali e sociali. Nell’era felice precedente all’Aids, all’apogeo della musica disco ancora non corrotta dalla New Wave britannica, le vite di persone diversissime generano momenti di pura comicità con lampi di genio utilizzati per stigmatizzare vizi e miserie della società americana. Una pellicola piacevole, accompagnata da una colonna sonora in grande stile, per mostrare un’epoca che non c’è più e che susciterà di certo molti rimpianti in coloro che all’epoca erano coetanei dei personaggi di cui vengono raccontate le storie.

Prime luci dell’alba {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Gian Marco Tognazzi – Francesco Giuffrida – Laura Morante Sceneggiatura Nicola Molino Regia Antonio Gaudino Anno di produzione Italia 2000 Distribuzione LION Durata 86’

Due fratelli che non hanno mai vissuto insieme si rincontrano dopo che i genitori sono stati uccisi in un agguato mafioso a Caltanisetta. Città da dove il maggiore è partito prima per studiare ingegneria, poi per lavorare in lungo e in largo per il mondo e dove il secondo è rimasto, inchiodato ad una sedia a rotelle. Prime luci dell’alba è quindi la narrazione di un difficile incontro in una terra amara, dove la mafia uccide anche chi non vuole pagare il fatidico pizzo come il defunto padre dei due giovani. Forse eccessivamente lento, il film la cui sceneggiatura è stata vincitrice del Premio Solinas, si avvale dell’intensa recitazione di Gian Marco Tognazzi abile a interpretare l’uomo che non riesce più a tornare ad essere ciò che era. Il legame reciso con la sua terra, con la sua famiglia, con un fratello quasi estraneo è un peso psicologico difficile da superare per chi come lui da anni si è imbarcato in un eterno viaggio per lavoro con poche possibilità di fermarsi a riflettere. Il fratello minore che ha il volto del Francesco Giuffrida scoperto dal maestro Gianni Amelio per il suo Così ridevano,

si è imbarcato, invece, in un altro tipo di fuga dalla realtà. Tra false visioni e ossessioni vere, il giovane si trincera dietro la sua sedia a rotelle per sfuggire a quella realtà per cui non prova alcun interesse. Ed è probabilmente questa l’idea più commovente di questa storia amara dalla carica di denuncia sociale non indifferente:

l’unica possibilità di trovare una vita comune, si può fondare sull’affetto che i due giovani devono ritrovare. Un messaggio – forse – un po’ retrò, ma anche una speranza dal grande valore etico, in una terra in cui tutto sembra aver perso di significato in nome della violenza e della sopraffazione.

Little Voice è nata una stella {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Jane Horrocks – Brenda Blethyn – Michael Caine – Ewan Mc Gregor Sceneggiatura Jim Cartwright - Mark Herman Regia Mark Herman Anno di produzione Gran Bretagna 1998 Distribuzione Cecchi Gori Durata 99’

Con due anni di ritardo rispetto al grande successo avuto in Gran Bretagna e Stati Uniti esce anche da noi Little Voice film di culto ovunque tranne che in Italia, in cui la fiaba e i temi cari al cinema hollywoodiano degli anni Cinquanta si rincorrono per tutta la storia ambientata in una cittadina nel nord dell’Inghilterra. Lì, insieme alla madre semi ninfomane dal carattere a dir poco esuberante, vive una ragazza che – dopo avere perso il padre proprietario di un negozio di dischi – rimane sempre chiusa in casa ad ascoltare la collezione del genitore scomparso. Un giorno, dopo che la madre ha rimorchiato un eccentrico e sfigato talent scout interpretato da un grande Michael Caine ancora non vincitore dell’Oscar, le follie della figlia vengono interpretate per quello che realmente sono: un talento unico che le consente di ripetere le voci di tutte le più grandi attrici del passato: da Marylin Monroe a Judy Garland. Per la stralunata combriccola sembra una fortuna, ma il dolore della ragazza che tramite il canto sente ancora forte il legame con il padre, è un ostacolo quasi insuperabile per un’eventuale carriera nel mondo dello spettacolo e questo può essere interpretato e capito solo da un operaio della compagnia dei telefoni (Mc Gregor) con la passione di allevare i piccioni. Little Voice è un film che per sua natura è difficile apprezzare in pieno in italiano. Almeno non tanto quanto meriterebbe per la sua originalità geniale, per il suo humour leggero nato ai confini con la commedia psicologica. Jane Horrocks l’attrice che in realtà ha veramente il talento di replicare tutte le voci più note, fonda la sua interpretazione su una cifra molto originale in cui la personalità multipla del suo personaggio la trasforma in una moderna Cenerentola afflitta da un profondo male oscuro interiore. Una commedia divertentissima e tenera con molti momenti esaltanti, soprattutto grazie a due interpreti eccelsi del cinema britannico e anche grazie allo zampino dell’ancora non tanto noto Sam Mendes, regista trionfatore all’Oscar con American Beauty in qualità di produttore esecutivo.

Il gladiatore di Ridley Scott

Fortunatamente il cinema riserva spesso delle belle e imprevedibili sorprese. Così un regista che si pensava avesse già dato il suo meglio con Blade Runner, Alien e Thelma & Louise torna prepotentemente alla ribalta con un film originale e sorprendente. Il gladiatore di Ridley Scott, infatti, costituisce una sorta di reinvenzione di un genere cinematografico dove l’utilizzo della tecnologia digitale è stata capace di sostituire il termine kolossal con la più ambita definzione di  ‘pellicola d’autore’. Già, perché nonostante il film prenda le mosse da dove iniziava anche Quo Vadis? ovvero dalla guerra di Marco Aurelio contro Quadi e Marcomanni nei pressi di Vindobona (l’attuale Vienna) il suo sviluppo è abbastanza dissimile e originale. Massimo interpretato da uno straordinario Russel Crowe è un generale che non nasconde le sue origini contadine, di cui va fiero come simbolo di onestà. Profondamente attaccato alla sua famiglia lasciata a casa, è un soldato coraggioso e formidabile, incrollabilmente fedele a Roma e al suo imperatore, amatissimo dai suoi soldati. Quando Marco Aurelio presagendo la fine imminente, gli chiede di restituire la città alla Repubblica, Massimo si fa garante con la sua parola. Una scelta che gli costerà cara, visto che il feroce figlio dell’imperatore, Commodo si vendicherà ben presto. Sfuggito ad un assassinio a tradimento, Massimo – finito in una lontana provicina africana - diventerà il gladiatore più famoso dell’impero. E vivrà una vita relativamente tranquilla fino a quando – tornato a Roma – dovrà affrontare i fantasmi del suo passato, laggiù nel Colosseo dove la folla che ti ama è disposta a seguirti anche in imprese disperate.

Al di là delle ricostruzioni computerizzate mozzafiato della Roma imperiale (sembra quasi di essere caduti nel plastico del Museo della civiltà romana all’Eur) la grande forza de Il gladiatore sta nel raccontare una storia dalle venature New Age in cui il cristianesimo non viene quasi mai citato e dove – evitando così le possibili melensaggini cui ci avevano malamente abituate alcune pellicole del passato anche famose – il protagonista è un eroe pagano fedele alle leggi della città e devoto. Il gladiatore – nonostante qualche errore storiografico francamente trascurabile dinanzi alla grandiosità della pelicola – si propone così come un film commovente ed emozionante, in cui si celebra il trionfo dell’immagine. Le spettacolari battaglie contro i barbari e i sontuosi giochi del circo consegnano definitivamente la celeberrima corsa delle bighe di Ben Hur alla storia del cinema. Intepretato da Joaquin Phoenix, Connie Nielsen (L’avvocato del diavolo) da Oliver Reed morto durante le riprese a Malta e aggiunto in digitale nelle scene mancanti, Djimon Honsou (Amistad) il film annovera nel cast anche due straordinari grandi vecchi del cinema britannico come Derek Jacobi e Richard Harris nei panni già vestiti da Alec Guinnes di Marco Aurelio. Ma l’elemento più notevole e di valore all’interno del film resta al di fuori di ogni dubbio la grande interpretazione di Russel Crowe che con il suo aspetto di eroe triste ci comunica lo sgomento di un uomo giusto di fronte al tradimento e alla corruzione. In tal senso l’integrità del protagonista risulta quasi  singolare: Massimo è il primo eroe vero senza macchia e senza paura trapiantato nel Duemila. Una scelta vincente dopo un numero cospicuo e forse eccessivo di antieroi. Il suo laicismo, la sua fede nella lealtà ce lo rendono enormemente simpatico e caro come un amico prezioso e insostituibile rincontrato dopo lungo tempo. Il gladiatore è la dimostrazione che quando ci mette lo zampino Spielberg e la sua compagnia di produzione, il cinema può compiere dei miracoli come riuscire a inondare di nuova linfa generi cinematografici apparentemente senza alcuna prospettiva. Una taumaturgia che con Il gladiatore sortisce il benefico effetto di realizzare una pellicola emozionante sebbene di vecchio stampo. Una visione moderna e avanzata di storie antiche, ma ancora cariche di fascino e forza espressiva perfettamente plasmata da un vecchio leone come Ridley Scott.

Erin Brockovich di Steven Soderbergh

Erin Brocovich è un film estremamente riuscito, perché offre al pubblico numerosi piani di lettura diversi. Innanzitutto quello di essere stato ispirato da una storia vera in cui l’Erin Brocovich della vita reale appare addirittura in un piccolo cameo come cameriera di una tavola calda dove a sua volta la finta Erin Brocovich interpretata da Julia Roberts va a mangiare con i tre figli molto piccoli. Il secondo punto di vista è quello della storia di una donna sola che messa alle strette dalla mancanza di denaro e da due matrimoni falliti cerca a tutti i costi un posto di lavoro per mantenere i suoi bambini. Poi c’è il thriller legale in cui Erin cerca con molti sacrifici e tanto ingegno di aiutare gli abitanti di una piccola cittadina la cui acqua è stata avvelenata da delle sostanze chimiche passate dagli scarichi di una fabbrica nelle falde acquifere. E ancora, c’è la storia di una donna affascinante e del suo difficile rapporto con gli uomini. Insomma, Erin Brocovich si giova di quella completezza e originalità che solo la vita vissuta può donare alle storie. Il regista Steven Soderbergh è stato bravo a riunire le fila di tutti questi aspetti differenti e plasmarli in una pellicola veloce, interessante e non priva di ironia e di momenti di grande divertimento. Al di là del motivo didascalico che descrive quanta forza d’animo e di volontà ci vogliono per cambiare il fatidico stato delle cose, l’elemento più interessante racchiuso nel film è quello fornito dalla grande umanità di Julia Roberts capace di interpretare in maniera diretta e senza troppi fronzoli un personaggio vero e intenso. Nonostante sia un lungometraggio prodotto da uno dei grandi Studios hollywoodiani e abbia come protagonista quella che può essere considerata la più grande tra le star di sesso femminile, Erin Brocovich è una pellicola dalla natura indipendente esaltata da un budget adeguato e dalla regia di un autore che dopo L’inglese con Terence Stamp torna a presentare un film più tranquillo sul piano visuale, ma non meno intrigante e interessante dal punto di vista narrativo e di quello delle emozioni. 

Marco Spagnoli

Altri film

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved