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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema maggio 2000

 

Squit, miao, ciak: si gira

Con Il Re Leone ha ridato fiato al cartone animato nel cinema. Adesso Rob Minkoff ha fatto un altro miracolo: la regia di un film dove recitano uomini, gatti e un topo virtuale disegnato al computer. "Una fatica spaventosa", dice. Ma anche il piacere di raccontare una storia, come quella del piccolo roditore Stuart Little, che insegna la tolleranza e l’amore

E’ stato il regista de Il re leone, la pellicola che ha praticamente salvato il cinema d’animazione Disney dallo scivolare sul viale del tramonto. Adesso Rob Minkoff è tornato con un successo stratosferico: quello legato alle avventure del topino Stuart Little. Un personaggio dolce e simpatico, reso miliardario dagli incassi ottenuti in tutto il mondo.

Quella di Stuart Little non è una storia molto conosciuta dal grande pubblico. Non era preoccupato ad avvicinarsi ad un progetto con qualche rischio?

Effettivamente è vero, molte persone che conoscevano la storia erano entusiaste del fatto che stavo per trasporre sul grande schermo un libro della loro infanzia. Altri mi guardavano un po’ incerti… credo, però, che il materiale nella storia sia talmente straordinario e originale da facilitare a qualunque autore il suo approccio al lavoro.

Nessuno considera strano il fatto che Stuart sia un topo e viva in un orfanotrofio insieme a degli umani. Un invito e un insegnamento a tutti i giovani riguardo la tolleranza…

Questo è diventato l’elemento centrale del film che ci ha aiutato a coagulare l’intera trama intorno ad un’idea. E’ stato un faro per non perderci all’interno della matassa di idee che volevamo raccontare. Questo è un qualcosa che ho imparato dai miei anni di lavoro alla Disney.

Eppure la Disney, però, da tempo non tenta di raccontare fiabe così vecchio stile…

E’ vero, ma questo processo è stato aiutato dalla tecnologia che consente di raccontare storie con tecniche differenti. La sfida oggi per un autore è rendere il computer un mero strumento per raccontare meglio il calore dell’umanità. Del resto io ho passato due anni della mia vita a lavorare su questo film. Desidero che ogni cosa che faccio abbia un ‘valore aggiunto’ da offrire al pubblico. La profonda umanità di Stuart Little era uno degli scopi che mi ero prefissato.

Come mai è stato scelto per dirigere questo film?

Me lo sono chiesto anche io. Al di là dei motivi e dei meriti artistici uno dei fattori è stato quello che io non avevo mai lavorato prima con immagini animate, attori e animali. E spesso mi sono chiesto se questa ingenuità non sia stata uno dei motivi per cui la Columbia ha chiesto proprio a me di fare un’esperienza tanto dura e in fin dei conti spaventosa…

Almeno l’amore per gli animali l’ha aiutata per affrontare tutte le difficoltà…

Moltissimo. L’unico problema è che io sono allergico al pelo del gatto anche se mi piacciono molto gli animali.

Quante difficoltà avete avuto a fare ‘recitare’ dei gatti che – si sa – sono animali abbastanza indipendenti?

Enormi. Ad un certo punto avevamo pensato di cambiarli addirittura con i cani. Non avrebbe avuto senso. La loro recitazione è frutto del grande lavoro dei loro trainers e di un grande montaggio delle scene. Le loro espressioni sorprese venivano realizzate magari facendo sentire loro dei rumori strani o soffiando con delle piccole pompe ad aria. L’ultima scena tra i rami degli alberi è stata un incubo. Abbiamo girato ventotto chilometri di pellicola per realizzarla.

Marco Spagnoli

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