Scienza Aprile 2000
Lassù
sulle montagne, tra boschi e Ddt
Le
Alpi? Più inquinate della pianura. A dirlo è una ricerca shock
dell’Unione europea. Che ha scoperto che nei laghetti
cristallini a 2500 metri di altezza c’è 1000 volte più Ddt che
a livello del mare. Colpa delle gelide temperature delle vette e
degli antiparassitari evaporati da Africa e India che si
concentrano sui nostri monti. Ma soprattutto delle miopi politiche
dell’Occidente
“Vado in
montagna a respirare aria buona, finalmente”. Un luogo comune ma
almeno, si pensava, anche una certezza. E invece no, l’illusione
è finita. Assediati dal benzene in città, impiastricciati di
petrolio al mare e perseguitati dall’insalata transgenica, ora
tocca alle alte vette immacolate. Che immacolate non lo sono più,
dopo che uno studio dell’Unione europea ha scoperto che i
laghetti azzurri della Alpi, quelle irraggiungibili oasi
cristalline sopra i 2500 metri, sono più inquinati
dell’idroscalo di Milano. Per la spietata precisione, contengono
1000 (mille) volte più Ddt dei laghi al livello del mare.
“Abbiamo sempre
detto che l’ecosistema alpino è rimasto intatto – ha
commentato Roland Psenner, docente all’Università di Innsbruck,
in Austria e uno dei ricercatori coinvolti nello studio – Adesso
è meglio dire che è si isolato, ma non più così intatto…”.
Cosa è successo? Che le Alpi, maestose e all’apparenza
inviolabili, agiscono come dei “magneti” nei confronti delle
sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera. Il meccanismo,
spiegano gli scienziati, è semplice: le permanenti temperature
sotto lo zero a livello delle cime alpine fanno “concentrare”
il Ddt evaporato sopra l’India e l’Africa (che ancora fanno
uso del vecchio antiparassitario bandito in Occidente 15 anni fa)
che infine precipita sulle montagne per un fenomeno chiamato
“distillazione globale”. “Il Ddt circola intorno alla Terra
dove c’è caldo, ma resta intrappolato dove fa freddo – dice
Psenner – Sapevamo che questo succedeva ai poli, ma finora
nessuno sospettava che lo stesso fenomeno avvenisse sulle Alpi o
sui Pirenei”. E dal Monte Bianco fino alla Marmolada, da Saint
Moritz fino al Tarvisio, sopra i 2500 metri c’è neve e ghiaccio
8-9 mesi su 12.
A conferma del
problema anche il fatto che, nonostante la grande distanza dalle
zone agricole o industriali, i pesci dei laghetti alpini
presentano gli stessi sintomi da accumulo di sostanze inquinanti
chiamate Pop (persistent organic pollutants) dei pesci di pianura.
Una contaminazione “sotto i livelli considerati pericolosi per
l’uomo” precisa Psenner, tanto che “le trote pescate a 2500
metri si possono mangiare”. Sarà, ma tra mucche pazze, pomodori
mutanti e prosciutti alla diossina non è la prima volta che ci si
sente dire che tutto va bene. Senza scordare la oramai celebre
beffa dell’atrazina, quando qualche anno fa si scoprì che
l’acqua dei rubinetti di mezza Italia aveva livelli di
diserbante superiori a quelli legali. Conseguenza: il governo alzò
per legge la quantità permessa, facendo tornare l’acqua
potabile “per legge”.
L’indagine dei
ricercatori austriaci si è concentrata su tre laghetti sopra i
2500 metri vicino a Innsbruck, ghiacciati tre quarti dell’anno.
Una curiosità: in origine non c’erano pesci, a introdurre le
trote sarebbe stato l’imperatore Massimiliano I qualche secolo
fa. Comunque sia, oggi le acque turchine nascondono il pericolo
Ddt, una molecola conosciuta per i suoi effetti tossici e
cancerogeni che entra nelle catene alimentari per accumulo nei
grassi. Lo trovarono perfino nei pinguini e nelle foche. In più,
sia l’antiparassitario che altre sostanze inquinanti, hanno un
effetto ormono-simile o estrogeno-simile. Riuscendo ad alterare
l’equilibrio endocrino di alcuni animali. E ancora mancano
ricerche sui mammiferi e roditori alpini come camosci, marmotte,
conigli, volpi.
Altra sfortuna:
le Alpi non possono sfruttare nemmeno “l’effetto
cavalletta”. Le sostanze inquinanti infatti passano facilmente
dallo stato solido a quello liquido e gassoso anche con piccole
variazioni di temperatura. Così le nuvole contaminate passano su
una zona fredda, i Pop cadono a terra, la temperatura magari si
rialza di qualche grado e queste rievaporano e si spostano fino a
trovare un’altra zona fredda. Su e giù, insomma. Un meccanismo
che le costanti basse temperature delle vette alpine non
permettono. E il Ddt resta intrappolato nelle acque del
Gossenkoelle See e degli altri laghi studiati. Un principio
elementare: più fa freddo e più si concentrano gli inquinanti.
Conclusione?
Bandire Ddt e simili dalle campagne del mondo. Ma non è così
facile: molti scienziati avvertono che un divieto immediato
provocherebbe carestie e malattie nei Paesi poveri. Il classico
stallo. In realtà, suggerisce Psenner, c’è un’alternativa:
“Non può essere una colpa quella di cercare di proteggere il
proprio ecosistema. Ma lo è non riuscire ad offrire al Terzo
Mondo, dopo 50 anni, qualcosa di meglio del Ddt”.
a.m. |