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redarrowleft.GIF (53 byte) Letture & Scritture Aprile 2000

 
Figlio mio maledetto

Due gemelli: uno muore durante il parto, l’altro sopravvive. Ma solo per essere odiato dalla madre, ignorato dal padre alcolizzato e rifiutato dalla comunità. E’ la trama de "Le Madri nere" di Pascal Francaix. Un diario dove si scopre che la lucidità è quella del bambino e la follia è quella degli adulti

Quanta violenza può celarsi dietro alle pareti domestiche? Quanto indifeso è ogni bambino di fronte alla follia di un genitore? Quanto crudeli può renderci il dolore? Quanto insensibile può essere l’egoismo? Domande difficili da porre, ma alle quali in qualche modo risponde questo libro: un viaggio nella tragica vita di un bambino che ha commesso il solo errore di nascere nel momento sbagliato e nel posto sbagliato, ma soprattutto di venire alla luce mentre il suo gemello rimaneva soffocato dal cordone ombelicale. Al tempo stesso nel leggere quest’opera si assiste al dispiegarsi di tutte le forze estreme che gestiscono le società umane, di quegli intrecci più o meno volontari di diverse identità che si incontrano in percorsi comuni e per questo pian piano tendono ad uniformarsi. E in questo uniformarsi perdono il senso dell’assurdo, tanto da farlo diventare reale.

La prima pagina del libro introduce immediatamente il lettore nel mondo di odio di cui è involontario protagonista Maurice, il bambino che subisce la violenza di quel mondo di adulti. Un mondo in cui tutti sono crudeli, anche se in modo diverso.

Innanzitutto la madre, che ha trasformato il proprio senso di colpa per la morte di uno dei suoi gemelli in rancore contro l’unico sopravvissuto. Poi il padre, che affoga nell’alcool il suo senso di impotenza rispetto all’aggressività della moglie e lascia che tutto accada. Inoltre le madri nere, ovvero donne che condividono il dolore per la perdita di un figlio e si lasciano guidare dalla rabbia folle della madre di Maurice. Infine, il resto della piccola cittadina francese, che mai si interroga su cosa succeda tra le pareti di quella casa.

Così confida Maurice al suo diario: "La gente crede che io sia suonato, mentre in verità gli idioti sono loro! Abboccherebbero a qualsiasi amo! Quelli della mamma sono grossi, li vedrebbe da lontano anche un orbo. Be’, loro abboccano lo stesso! Abboccano ogni volta e non mollano più." Quello che il bambino non può sapere è che la gente non è idiota, finge di esserlo per il proprio quieto vivere. E questa consapevolezza nel lettore aumenta la sua inquietudine, perché conosce gli adulti e sa che per il bambino non c’è scampo.

Dalla cecità del mondo deriva il senso di isolamento del bambino: "E io avrò un bel protestare che se i miei vestiti cadono a brandelli è perché la mamma non vuole rammendarli, né lavarli, né niente. Che se i miei capelli sono unti è perché lei ci si pulisce sopra le mani ogni due per tre. Che se le mie unghie sono nere è perché mi priva del sapone. … Avrò un bel dire…".

Unico suo confidente resta, a questo punto, il diario. Questo diario che diventa per lui la cosa più importante, perché tutto il resto gli viene pian piano sottratto. Proprio tutto, persino il suo stesso corpo, oggetto delle angherie della madre. Il suo spirito trova rifugio solo nelle pagine che scrive e che è riuscito a tenere nascoste al mondo che gli è nemico. Fino alla fine difende i suoi scritti, quasi un modo di sentirsi vivo e libero: scrivere il proprio diario è l’unica attività totalmente autonoma e sensata, in una realtà di cui non può tirare le fila.

Un racconto inquietante, quindi, nel quale la violenza non colpisce di per sé, non è mero strumento per tenere viva l’attenzione. Anzi, è talmente mediatica da far andare il ragionamento del lettore subito al di là di se stessa. Questo è ottenuto anche grazie al fatto che il corpo del bambino è dall’inizio alla fine un semplice strumento, quasi insensibile. La madre lo punisce perché lo considera causa della morte dell’altro figlio. Maurice, al tempo stesso, soffre per le mutilazioni soprattutto quando queste gli impediscono di scrivere o di leggere, non tanto per il dolore fisico che gli procurano. Alla fine, questo corpo diventerà oggetto di contesa tra il bambino e sua madre perché ‘servirà’ ad entrambi in modo esclusivo.

Questa opera prima di Pascal Françaix si fa leggere tutta d’un fiato, grazie alla scrittura limpida e veloce che travolge il lettore col continuo contrapporsi tra l’oscurità della follia adulta e la chiarezza dei ragionamenti di un bambino.

Le Madri nere è edito da Meridiano Zero nella traduzione di Jacopo De Michelis.

Tatiana Tartuferi

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