Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto

redarrowleft.GIF (53 byte) Scienza Marzo 2000

Il telecomando cellulare

Un microchip collegato ad una cellula umana. Che si apre e chiude a comando. Basta premere il tasto di un computer. Così si possono somministrare farmaci, proteine e anche materiale genetico. Dove si vuole e quanto si vuole. Un professore e ricercatore italiano che lavora negli Usa parla delle ultime scoperte della bio-ingegneria medica. Ma per l’uomo bionico, dice, ci vorrà ancora molta pazienza

E’ una di quelle notizie che può sfuggire, quasi fosse materia per super-tecnici: un microcircuito elettrico collegato ad una cellula umana e capace di controllarne l’attività. Eppure è finita sulle pagine della Cnn e Abc. Dopo che la rivista scientifica americana Biomedical Microdevice diretta dal ricercatore italiano Mauro Ferrari, ne ha pubblicato un estratto. A tutti è venuto subito in mente l’uomo bionico, l’androide semi-umano. Come i terribili Borg di Star Trek, mezze persone e mezze macchine. "Meglio essere sinceri – ha sorriso Ferrari – Siamo molto lontani dall’uomo bionico. Ma è piuttosto un primo passo verso importanti applicazioni mediche".

L’autore della ricerca è un professore di ingegneria meccanica dell’Università di Berkeley, Boris Rubinsky. Che è riuscito a combinare assieme in uno spazio sottile come un capello una cellula umana e un microchip collegato ad un computer. Attraverso il pc si può controllare il chip che con una piccola scossa elettrica "ordina" ai micropori sulla membrana cellulare di aprirsi. Possibile applicazione: inserire questi piccoli circuiti nell’organismo per rimpiazzare o correggere tessuti malati. Ancora: obbligare la cellula ad aprirsi e far entrare del Dna estraneo superando le mille difese che (per fortuna) ogni cellula oppone ad un’invasione così pericolosa. Un’invasione che però, in medicina, potrebbe significare la cura di numerose malattie.

"Possiamo introdurre Dna, proteine, farmaci – spiega Rubinsky – Il tutto senza coinvolgere le cellule che stanno attorno". Insomma una terapia mirata fino all’estremo: chip diversi con voltaggi diversi agiscono su tessuti diversi (e volendo solo su quella porzione di tessuto), dai muscoli, all’osso fino alle cellule cerebrali. E un farmaco molto tossico per le cellule sane potrebbe essere inserito in micro dosi, ad esempio, solo nelle cellule tumorali. Basterà dire: "Apritevi".

In realtà il principio che una mini-scossa elettrica apra i pori di una cellula animale è conosciuto da tempo. Come spiega Mauro Ferrari: "E’ vero che si fa già da anni. La differenza è che l’invenzione del mio amico Rubinsky lo fa in modo molto più facile e preciso. È comunque la prima volta che si riesce a immobilizzare una cellula su un microchip per poi controllarla. I media hanno montato un po’ la cosa, da qui all’uomo bionico ne passa. Ma applicato su larga scala questo sistema può avere un grosso valore futuro". Come la terapia genetica: "La cellula si rifiuta di far entrare materiale genetico non suo. Con l’elettroporazione, l’apertura dei canali di membrana tramite corrente elettrica, si supera l’ostacolo".

Se Rubinsky ha puntato tutto sull’interruttore che apre e chiude la cellula, lo stesso Ferrari sta percorrendo altre strade. E anche le sue di misure ridottissime. Storia da "piccolo genio", quella di Ferrari: 40enne, udinese di origine, laurea in matematica a Padova e poi in ingegneria meccanica a Berkeley (California), è direttore e professore del Centro di Bio-ingegneria medica all’Ohio State University. Oltre che professore in medicina interna e oncologia. Quando un anno fa lo hanno chiamato a dirigere il centro di bio-ingegneria nell’Ohio, non se lo è fatto ripetere due volte. Anche perché "un conto è il clima della California, un altro quello dell’Ohio: sembra di stare nelle campagne del Veneto".

Una delle sue specialità sono i trapianti cellulari. Come per la cura del diabete. "Abbiamo inserito in alcuni animali del tessuto pancreatico che produce l’insulina protetto da capsule di silicio. Così attraverso aperture grandi da 9 a 11 nanometri (un miliardesimo di metro) l’insulina può uscire ma gli anticorpi e le molecole che provocano il rigetto non possono entrare". Ancora una volta un incrocio fra biologia e nanotecnologie. Ferrari le chiama "Biomems", anzi pensa di averla inventata lui, quella parola. Quella che porterà all’uomo bionico, metà circuiti e metà carne ed ossa? Il bio-ingegnere di Udine frena con mani e piedi: "Di uomo bionico per ora ne ho conosciuto soltanto uno - risponde da buon ex allenatore di basket – E si chiama Michael Jordan".

Alessandro Mognon

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved