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redarrowleft.GIF (53 byte) Letture & Scritture Marzo 2000

 
Il dolore per amico

Una volta nati, si deve vivere. Con tutto quello che viene: gioie e amore, dolori e frustrazioni. Ma è con quest’ultimi che bisogna fare i conti. Anche perché, come spiega lo psicoterapeuta Aldo Carotenuto, spesso sono figli della nostra infanzia, del nostro desiderio di onnipotenza e del rifiuto di vedere i nostri limiti. La cura? Capire la sofferenza, provarla e abituarsi alla sua presenza

Aldo Carotenuto, Attraversare la vita, Bompiani, pp.195, L.28.000

Attraversare la vita è forse l’unico imperativo destinato a tutti; l’unico compito che ci accomuna davvero. Portare avanti questo viaggio, quest’avventura esistenziale (magari fino alla vecchiezza più estrema) significa tuttavia misurarsi con la perdita, il dolore, la frustrazione. Eppure, se non si vuole venire travolti dagli eventi o pietrificati dai lutti, occorre proseguire il cammino della vita svincolandosi dal passato e aprendosi a sempre nuove progettualità. Ben consapevoli che mai il raggiungimento di alcuna meta potrà placare la nostra sete di realizzazione; che mai alcun desiderio – una volta esaudito – ci renderà compiutamente sazi e appagati.

Ci sono però due atteggiamenti opposti: due modalità dissimili con cui guardare alla nostra parabola esistenziale e con le quali misurare gioie, amarezze o difficoltà. Il primo si declina all’insegna d’uno sfiduciato pessimismo reso cupo da nubi d’apprensione, sconforto o peggio ancora rifiuto difensivo nei confronti dei propri simili e del mondo. Il secondo è caratterizzato piuttosto da un’apertura sia rispetto all’altro da sé sia rispetto alle possibilità di mutamento che il futuro può offrire. Quindi da una disponibilità a rimettersi in pista ad onta di tutti i problemi, nonostante le cadute in cui inevitabilmente incorreremo lungo il nostro cammino. Ma da cosa può dipendere l’opzione per un approccio positivo alla vita piuttosto che per uno negativo? Che cosa ci fa assumere un atteggiamento fatalista, rassegnato, di ripiegamento su noi stessi e sul nostro passato piuttosto che propositivo e fiducioso?

Le prime esperienze di relazione con chi ci teneva (o non ci teneva) fra le braccia, le coordinate di riferimento che abbiamo incontrato all’inizio della vita – scrive nel suo ultimo saggio lo psicoterapeuta junghiano Aldo Carotenuto – "andranno a rappresentare un imprinting specifico e persistente che costituirà il nostro modello cardine", cioè il modo con cui relazionarsi con sé stessi e con gli altri. Chi è stato rifiutato – sottolinea ancora lo psicoanalista – a sua volta rifiuta e per non rischiare il dolore d’una delusione non solo non s’attende l’abbraccio dell’altro ma ad esso si sottrae, per anticipare un eventuale rifiuto vissuto come intollerabile.

Dovremmo quindi considerare immodificabili i nostri stili di vita psicologici e il modo con cui reagiamo o meno a conflitti e frustrazioni? Niente affatto, ovviamente, anche se mutare lo sguardo attraverso cui osserviamo il mondo e le nostre esperienze – se la nostra ottica è eccessivamente cupa – può comportare una vera e propria discesa agli inferi della psiche, da compiersi lungo un ulteriore, parallelo itinerario esistenziale alla ricerca della propria individuazione: attraverso un viaggio che è poi quello rappresentato dall’analisi psicoanalitica, appunto.

Per questo, avverte Carotenuto, non bisogna deprecare o temere il malessere psichico. Esso, infatti, è la "voce dell’anima" insoddisfatta e bisognosa di profondi cambiamenti. Solo prestandole ascolto si potrà curarla, nel senso di prendersene cura più che in quello supponente di guarirla: dalla vita non si guarisce se non con la morte.

Ed è proprio in questa messa in parentesi della supponenza, in questo venire a patti con la realtà che entra in gioco ciò che sta alla base di un approccio di tipo psicoanalitico, il quale interpreta l’esistenza mediante il "paradigma del conflitto". Il mondo, scrive Carotenuto, si interpone tra il desiderio e la sua gratificazione, così presto o tardi il bambino dovrà "confrontarsi con la tensione e il conflitto di un desiderio inesaudito". Ed è da tale esperienza che può scaturire la fantasia regressiva di un ritorno impossibile all’eden perduto della fusione prenatale. Aspirazione che peraltro permane quale "sfondo dolente dell’intera esistenza". Ma di fronte al conflitto non c’è solo la rinuncia o la disperazione. Vi può essere modo di riconoscerlo e, accettatolo come ineludibile, di integrarlo utilizzandolo come chance di crescita e metamorfosi.

Perché è forse questa la finalità terapeutica dell’analisi: una ricerca d’armonia, di un equilibrio omeostatico che ci consenta di tollerare la compresenza in noi di bene e male, di gioie e dolori, di tutte quante i nodi d’ambivalenza che ci contraddistinguono e non potremo mai sciogliere una volta per tutte. Una ricerca che, in primis, comporti il ridimensionamento del nostro narcisismo d’origine infantile, malato d’onnipotenza, attraverso il riconoscimento dei limiti: nostri e di ogni situazione o persona. Ma attenzione, rimarca Carotenuto. Non basta mai limitarsi alla mera comprensione intellettuale. Capire astrattamente tutto ciò senza sentirlo, senza patirlo nel corpo, senza assimilarlo a livello esperienziale vale poco nella prospettiva d’una crescita autentica; in quanto ciò che muove il pensiero senza smuovere le emozioni non dà adito a una reale evoluzione, poiché l’elemento trasformativo è ciò che opera insieme su "pensiero e sentimento, intuizione e sensazione".

Francesco Roat

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