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redarrowleft.GIF (53 byte) Spettacolo Febbraio 2000



Sanremo...  non solo Festival
In treno con Irene (taccuino finale)

Poi, alla fine, la vita ti frega sempre. Roba da non credere. Nel senso che ti fa delle sorprese che mai e poi mai ti aspetteresti. Immaginate l'ultimo giorno a Sanremo di uno venuto qui per narrarlo, il Festival. Uno che si sforza di trovarci dentro delle storie, o degli spunti di storia. Ne trova uno in una ragazza che gli sembra una canzone, meglio, "la" canzone. Trova (e prova) un'emozione e cerca di raccontarla. Vede "la" canzone da lontano, attorniata sempre da un sacco di gente.
Non gli importava nulla di assistere alle serate del Festival, eppure ci va solo per vedere quell'interpretazione, ascoltarla, sentirla, guardarla. Duecentosessantacinque secondi.
Potrebbe scriverla, un giorno questa storia. Narrarla in qualche modo. Non sa bene come.
Poi, è strano, ma è così, le storie arrivano da sole. Hanno percorsi strani. E allora immaginatevi il narratore, di notte, alla stazione di Sanremo. Pronto a ripartire. Fermo lì, aspetta. E sta aspettando - il treno o che arrivi la storia, chi lo sa - quando "la" canzone gli passa davanti. Lei, sì. Zainetto in spalla, sola. Irene Grandi si mette lì ad aspettare lo stesso treno. Qualcuno la guarda attentamente, anche un gruppo di ragazzini («Ma no, dai, non può essere lei. Non vorrai mica che la seconda al Festival viaggi in treno e per giunta da sola?»). Saliamo, pure le cabine sono contigue. Questo è troppo. Che la vita sia ben strana lo sappiamo da un po'. Ma occorre proprio che ogni volta ci scuota in tal modo? «Scusa Irene...», e parte la storia dello scrittore al Festival. Le parlo de "la" canzone, e tutto il resto, e lei ride sapete bene come. «Ora dovrai raccontare la parte finale», dice. Infatti.
È felicissima di quanto le è successo al Festival. Non se lo aspettava ed è una conferma importante per l'evoluzione della sua carriera. Il controllore passa, la riconosce le fa i complimenti e lei alza il pugno sorridendo, come fa sul palco quando canta.
Che ci farà mai però lei, sul treno diretto a Venezia? «Scendo a Verona, e da lì parto. Me ne vado un po' in vacanza». Facile comprenderla. Il Festival è già durissimo per chi deve scriverne, figurarsi per chi ci partecipa. Vista così da vicino, gli occhiali da vista e vestita normale, sembra una studentessa che la domenica sera se ne torna nella città dove studia. E sembra quasi impossibile che questa piccola ragazza riesca a tirar fuori tutta l'energia, tutta quella voce.
Quelli che l'hanno riconosciuta sono tutti sorpresi, compreso il controllore, di vederla qui, il giorno dopo il successo. Lo aveva detto in conferenza stampa di essere la ragazza di sempre, semplice, che ogni giorno, pure al Festival, ha bisogno di almeno due ore tutte per sé. Facile dirlo, meno facile non pensare che magari si tratta di frasi suggerite dal manager o chi per esso. Macché. Eccola qui Irene Grandi, su un treno qualunque diretto verso Venezia.
Le chiedo come si è sentita a dover cantare dopo Bono sabato sera. Lei, guardando da sotto in su, sopra gli occhiali, dice: «Madonna...», nel modo che solo un fiorentino sa dire, con la o allungata. «Ho finto di non pensarci».
Arriviamo a parlare di libri: «Io ho sempre letto moltissimo, a parte nei periodi in cui registro i miei dischi, dove arrivo a sera distrutta». Verrebbe da chiederle il suo autore preferito, o il libro che si sta portando in vacanza, ma la consapevolezza di non essere dentro a quello zainetto come autore, mi fa tacere.
Parliamo di quanto strano sia che mondi contigui come quello della musica e quello della scrittura procedano affiancati ma non si incrocino quasi mai. Rarissime le collaborazioni fra scrittori e cantanti, autori, musicisti. «Troppo a compartimenti stagni», dice. «Bisognerebbe provare a collaborare, una volta», aggiunge.
Finiamo parlando dell'idea che ha avuto per la sua "Bio Graphic", la biografia tracciata come se fosse una metropolitana che c'è nel suo press book. «Beh, dice, in fondo la vita non è una serie di percorsi intrecciati, come la mappa del metrò?». Già, e mentre penso a quale punto del percorso ci siamo incrociati, sbadigliamo in sincronia. Ride. «Buonanotte Irene. E buone vacanze», lei ringrazia col sorriso che sapete, e chiude. Io, stanotte, spero di non russare. Fine del Festival
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