Sanremo... non solo
Festival
In treno con Irene
(taccuino finale)
Poi,
alla fine, la vita ti frega sempre. Roba da non credere.
Nel senso che ti fa delle sorprese che mai e poi mai ti
aspetteresti. Immaginate l'ultimo giorno a Sanremo di uno
venuto qui per narrarlo, il Festival. Uno che si sforza di
trovarci dentro delle storie, o degli spunti di storia. Ne
trova uno in una ragazza che gli sembra una canzone,
meglio, "la" canzone. Trova (e prova)
un'emozione e cerca di raccontarla. Vede "la"
canzone da lontano, attorniata sempre da un sacco di
gente.
Non gli importava nulla di assistere alle serate del
Festival, eppure ci va solo per vedere
quell'interpretazione, ascoltarla, sentirla, guardarla.
Duecentosessantacinque secondi.
Potrebbe scriverla, un giorno questa storia. Narrarla in
qualche modo. Non sa bene come.
Poi, è strano, ma è così, le storie arrivano da sole.
Hanno percorsi strani. E allora
immaginatevi il narratore, di notte, alla stazione di
Sanremo. Pronto a ripartire. Fermo lì, aspetta. E sta
aspettando - il treno o che arrivi la storia, chi lo sa -
quando "la" canzone gli passa davanti. Lei, sì.
Zainetto in spalla, sola. Irene Grandi si mette lì ad
aspettare lo stesso treno. Qualcuno la guarda
attentamente, anche un gruppo di ragazzini («Ma no, dai,
non può essere lei. Non vorrai mica che la seconda al
Festival viaggi in treno e per giunta da sola?»).
Saliamo, pure le cabine sono contigue. Questo è troppo.
Che la vita sia ben strana lo sappiamo da un po'. Ma
occorre proprio che ogni volta ci scuota in tal modo? «Scusa
Irene...», e parte la storia dello scrittore al Festival.
Le parlo de "la" canzone, e tutto il resto, e
lei ride sapete bene come. «Ora dovrai raccontare la
parte finale», dice. Infatti.
È felicissima di quanto le è successo al Festival. Non
se lo aspettava ed è una conferma importante per
l'evoluzione della sua carriera. Il controllore
passa, la riconosce le fa i complimenti e lei alza il
pugno sorridendo, come fa sul palco quando canta.
Che ci farà mai però lei, sul treno diretto a Venezia?
«Scendo a Verona, e da lì parto. Me ne vado un po' in
vacanza». Facile comprenderla. Il Festival è già
durissimo per chi deve scriverne, figurarsi per chi ci
partecipa. Vista così da vicino, gli occhiali da vista e
vestita normale, sembra una studentessa che la domenica
sera se ne torna nella città dove studia. E sembra quasi
impossibile che questa piccola ragazza riesca a tirar
fuori tutta l'energia, tutta quella voce.
Quelli che l'hanno riconosciuta sono tutti sorpresi,
compreso il controllore, di vederla qui, il giorno dopo il
successo. Lo aveva detto in conferenza stampa di essere la
ragazza di sempre, semplice, che ogni giorno, pure al
Festival, ha bisogno di almeno due ore tutte per sé.
Facile dirlo, meno facile non pensare che magari si tratta
di frasi suggerite dal manager o chi per esso. Macché.
Eccola qui Irene Grandi, su un treno qualunque diretto
verso Venezia.
Le chiedo come si è sentita a dover cantare dopo Bono
sabato sera. Lei, guardando da sotto in su, sopra gli
occhiali, dice: «Madonna...», nel modo che solo un
fiorentino sa dire, con la o allungata. «Ho finto di non
pensarci».
Arriviamo
a parlare di libri: «Io ho sempre letto moltissimo, a
parte nei periodi in cui registro i miei dischi, dove
arrivo a sera distrutta». Verrebbe da chiederle il suo
autore preferito, o il libro che si sta portando in
vacanza, ma la consapevolezza di non essere dentro a
quello zainetto come autore, mi fa tacere.
Parliamo di quanto strano sia che mondi contigui come
quello della musica e quello della scrittura procedano
affiancati ma non si incrocino quasi mai. Rarissime le
collaborazioni fra scrittori e cantanti, autori,
musicisti. «Troppo a compartimenti stagni», dice. «Bisognerebbe
provare a collaborare, una volta», aggiunge.
Finiamo parlando dell'idea che ha avuto per la sua "Bio
Graphic", la biografia tracciata come se fosse una
metropolitana che c'è nel suo press book. «Beh, dice, in
fondo la vita non è una serie di percorsi intrecciati,
come la mappa del metrò?». Già, e mentre penso a quale
punto del percorso ci siamo incrociati, sbadigliamo in
sincronia. Ride. «Buonanotte Irene. E buone vacanze»,
lei ringrazia col sorriso che sapete, e chiude. Io,
stanotte, spero di non russare. Fine del Festival.
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