Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Febbraio 1999


FILM Febbraio 2000

Vai alla prima parte

Non uno di meno (Not one less){Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Wei Minzhi – Zhang Huike Sceneggiatura Shi Ziangsheng Regia Zhang Yimou Anno di produzione Cina 1999 Distribuzione MIKADO Durata 100’

Trionfatore all’ultimo festival del cinema di Venezia esce finalmente in Italia Non uno di meno, straordinaria pellicola diretta dal più grande regista della storia del cinema cinese: Zhang Yimour, autore colto e raffinato che torna a raccontarci una storia semplice, ambientata nella Cina di oggi. Lontano dai rapidi movimenti di macchina e dallo sperimentalismo di Keep Cool, Zhang (in cinese il cognome precede sempre il nome) riflette sulla condizione della Cina rurale di oggi, mostrando le vicissitudini di una piccola scuola di provincia dove un maestro deve lasciare per un mese i suoi alunni per andare a trovare la madre malata. Il capo villaggio trova per l’uomo una supplente in una tredicenne da poco uscita dalla scuola. Il maestro anziano quando la saluta le dice che le darà 10 yuan in più (poche decine di migliaia di lire) se – al suo ritorno – il numero degli alunni sarà rimasto lo stesso. La scuola elementare, infatti, con tutte le classi insieme resta comunque l’ultima speranza per quei bambini di conquistare – un domani molto lontano – un futuro migliore. Un problema – quello dell’abbandono scolastico – che in Cina raggiunge le punte di un milione di studenti all’anno e che nelle zone rurali, dove servono braccia per mantenere le famiglie povere, raggiunge il suo apice. 
Così, in una scuola dove mancano perfino i gessetti per scrivere e i mozziconi di questi ultimi vengono usati con le unghie per non sprecarli, dove il tetto perde quando piove e non c’è luce elettrica, dove gli studenti più poveri dormono su dei tavolacci insieme al maestro in una stanzetta adiacente alla classe, arriva una ragazzina poco più grande di coloro cui deve insegnare e con un incarico enorme da portare avanti e con un’idea sola in testa: quando tornerà il maestro Gao, non ci dovrà essere un alunno in meno. Non uno di meno. Un film sorprendente questo di Zhang Yimou che unisce la favola alla cronaca, la poesia alla commedia in un’intensa comunione e fusione di intenti e pensieri. Zhang ci mostra una storia dove lo straordinario viene raccontato nell’ordinario con protagonista l’ennesima donna forte della sua cinematografia. Una ragazzina giovane e povera, che sente fino in fondo il suo ruolo di maestra e che va fino alla grande città (a piedi per decine di chilometri) pur di mantenere fede al suo giuramento. Lì farà di tutto per ritrovare il piccolo Zhang Huike, che ha lasciato la scuola per trovare un lavoro e pagare le medicine della madre malata. 

Ma non è la scuola cinese e la sua condizione a essere la vera protagonista della storia, bensì la fedeltà a un pensiero e a un’idea di un futuro migliore. Il tono è quello della fiaba e il mondo che circonda i poveri bambini è quello di mostri moderni, ma quello che dona un tocco in più al film di Zhang è il fatto che l’orizzonte è quello della speranza. Come ne La storia di Qui Fu altro film del regista cinese premiato a Venezia e altra storia moderna di una donna in cerca di qualcosa, il personaggio di Wei Minzhi è una bambina che sente di dovere proteggere gli altri. Il suo cuore crede nella lealtà e spera di potere ritrovare il bimbo fuggiasco, così come per la Gong Li nei panni di Qui Fu il desiderio era quello di ottenere giustizia. Un film da non perdere: non solo per la sua straordinaria forza espressiva, ma per il suo messaggio che costringe la nostra società dell’opulenza a confrontarsi una volta con valori essenziali e irrinunciabili per ogni società che vuole davvero definirsi civile.

L’ultimo cinema del mondo (El viento se llevò lo que) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Vera Fogwill – Angela Molina – Fabian Vena Sceneggiatura e Regia Alejandro Agresti Anno di produzione Argentina 1998 Distribuzione Pablo Durata 90’

Il cinema nel cinema ancora una volta. Con l’unica differenza che in questa pellicola di Alejandro Agresti vincitrice di numerosi premi a vari Festival in giro per il mondo, la forza espressiva del cinema viene raccontata attraverso i suoi benefici effetti in un piccolo villaggio della Patagonia, in quello che è probabilmente l’ultima sala di proiezione del mondo. E in questo tentativo costruito tra il comico e il grottesco,  il regista argentino riesce a costruire una divertente e riuscita metafora della modernità, tramite la storia di una ragazza che per caso finisce in un villaggio abitato da personaggi quantomeno eccentrici e un po’pazzerelloni. Quello che, invece, è meno riuscito e non riesce a convincere è il fatto che pur non volendo essere un film comico, e pur essendo armato di intenti più che lodevoli L’ultimo cinema del mondo soffre di un irritante tono farsesco che – alla lunga – stufa gli spettatori, nuocendo al racconto della storia. I personaggi troppo caricati da un lato non riescono a far ridere e dall’altro non sembrano dotati di quel fascino che convinca a seguire sereni i loro vaniloqui, reiterati fino all’impossibile. Un film che si sarebbe potuto considerare piacevole, se fosse stata eliminata o se non altro limata una certa nebulosità che lo rende a tratti lento e verboso. 
A questa pellicola viene associato il documentario
Piccole cose di valore non quantificabile interpretato da Gianni Ferreri e Fabrizia Sacchi, realizzato da Paolo Genovese e Luca Miniero. Un corto ambientato in una stazione dei carabinieri in cui un brigadiere raccoglie l’insolita denuncia di una ragazza cui hanno rubato tutti i suoi sogni. Una storia dal tono onirico, che ricorda alcuni racconti dell’Ottocento i cui forti riferimenti letterari, ricchi di humour colpiscono anche grazie alla bravura dei due interpreti. In contrasto con la generosa umanità di Ferreri (L’ultimo capodanno), troviamo la spaurita giovane interpretata da una Fabrizia Sacchi (Ormai è fatta) sempre più bella e convincente. Fino a quando il corto mantiene un tono onirico e surreale funziona. Poi – quando si concretizza il finale a metà tra la cronaca e l’effetto sorpresa – l’effetto risulta quasi devastante, inficiando tutto il lavoro svolto fino a quel momento. Peccato: una trama interessante, meritava un finale più degno e in armonia con quello che era stato raccontato fino a quel momento.

Il mistero di Sleepy Hollow (Sleepy Hollow) {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Johnny Depp – Christina Ricci Sceneggiatura Kevin Yagher & Andrew Kevin Walker tratta dal racconto di Washington Irving Regia Tim Burton Anno di produzione 1999 Distribuzione Cecchi Gori Durata 105’

E’ una virata vagamente splatter (ancora più di Mars Attacks!) quella che Tim Burton offre nel suo ultimo film ispirato al romanzo gotico di Washington Irving. Trasformato rispetto all’originale il maestro di scuola Ichabod Crane in un poliziotto che fa un po’ il verso agli X files, Burton esplora il territorio di confine tra un cinema di atmosfera come quello espressionista tedesco e la cinematografia hollywoodiana degli effetti speciali. L’ibrido che viene fuori, situato nel terreno di confine tra Frankestein e Edward Mani di Forbice è un omaggio al cinema fantastico e una piccola perla di ironia e umorismo. Mandato nei primi mesi del 1799 a investigare sulle misteriose morti di alcuni abitanti di Sleepy Hollow, Ichabod Crane scopre di avere a che fare con un cavaliere senza testa, un’anima dannata che miete vittime per vendicarsi dei terribili torti subiti. Ma non tutto ha un’origine soprannaturale. Nato dall’interessante contrasto tra la razionalità di un uomo che rifiuta (per timore o per superficialità) tutto quello che non riesce a spiegare e un fantasma senza testa, Il mistero di Sleepy Hollow soffre di un’inspiegabile tensione verso un macabro inutile e francamente ridondante. Del resto, però, la cosa più spiacevole è un finto “non politicamente corretto” che fa sì che il genio di Burton in molti momenti sembri appannato e non del tutto credibile. Pecche peraltro facilmente dimenticabili grazie al talento di un Johnny Depp al suo meglio e a una carismatica Christina Ricci in stato di grazia e quasi irriconoscibile.

Toy Story 2 {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Film d’animazione Sceneggiatura John Lasseter – Peter Docter Regia John Lasseter – Ash Brannon Anno di produzione USA 1999 Distribuzione Buena Vista International Durata 94’

Divertente ed emozionante, la seconda avventura del manipolo di giocattoli guidati dal cowboy Woody e dall’astronauta Buzz supera la prima per grazia e simpatia. Non tanto, perché il film racconta una storia commovente, simile a quella delle fiabe di una volta, bensì perché gli elementi già collaudati fanno sì che in Toy Story 2 tutto funzioni al meglio e il gusto del ridicolo e della citazione vengano portati alle loro massime conseguenze. Guerre Stellari, ma anche altri film nonché il collezionismo collegato ai memorabilia vengono presi in giro in cui è sempre l’elemento umano a rivestire un ruolo centrale. Ed è forse proprio questa la sfida riuscita: raccontare gli uomini, i bambini e la loro crescita attraverso gli occhi dei loro compagni di giochi, dona una patina agrodolce a una pellicola spensierata e priva di quella freddezza che sulla carta tutti si attenderebbero da un film interamente generato dal computer. In più – ed è forse proprio questa la sua grande forza 

Rush Hour {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Chris Tucker – Jackie Chan Sceneggiatura Ross La Manna – Jim Kouf  Regia  Brett Ratner Anno di produzione USA 1998 – Durata 94’ Distribuzione Warner Bros.

E’ l’ennesima strana coppia di turno quella protagonista di Rush Hour, pellicola che per storia e struttura ricorda in maniera più che sospetta il Danko di qualche anno fa con Schwarzenegger e Jim Beloushi. Eppure l’innegabile marcia in più di Rush Hour (letteralmente: Orario di punta) è il suo nascere nel fertile terreno della contaminazione tra il cinema d’azione americano e quello di Hong Kong. Chris Rock e Jackie Chan danno vita a situazioni effervescenti molto vicine alle atmosfere di Arma Letale 4. Quello che, però, differenzia Rush Hour dagli altri film del genere è il grande umorismo di fondo. Quando la figlia del console cinese di Los Angeles viene rapita, il diplomatico chiama in aiuto il suo poliziotto più fidato rimasto a Hong Kong dove una volta il console lavorava. Per depistare il cinese, al suo arrivo l’Fbi gli assegna il poliziotto più rompiscatole della polizia di Los Angeles. Ovviamente uno stralunato Chris Rock che nessuno vuole.
Elementi visti e stravisti, che proprio grazie alle caratteristiche dei singoli attori conquistano un’alchimia nuova che pur rendendo Rush Hour niente di più che un filmetto comico molto divertente, lo propongono anche come una pellicola commerciale efficace, capace di divertire e – alle volte – sorprendere con un gusto e ironia di recente non frequentissimi nel cinema hollywoodiano.

 Marco Spagnoli

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved