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redarrowleft.GIF (53 byte) Società Febbraio 2000


Case e... Palazzeschi di vetro

La stampa in questi giorni ha dato molto risalto al caso di una artista peruviana che si è fatta costruire , nel centro di Lima, una casa di vetro e è andata a abitarci. La sua vita privata è stata talmente apprezzata dai peruviani che pur di vederla in alcuni momenti particolari hanno letteralmente paralizzato la città e creato situazioni di vero e proprio caos tanto da richiedere l’intervento anche del capo di stato. i giornali hanno sottolineato che mai, prima d’ora, un fenomeno artistico aveva riscosso tanto successo di pubblico, mai la vita di una persona qualunque nei suoi gesti più quotidiani e banali era diventata un prodotto mediatico.

A dire il vero, c’è stato qualcuno che questa idea l’aveva già avuta, il poeta Aldo Palazzeschi. Nei suoi versi tratti da “una casina di cristallo” recita così:

[…]

io sogno una casina di cristallo
proprio nel mezzo della città,
nel folto dell’abitato.
Una casina semplice, modesta
piccolina piccolina:
tre stanzette e la cucina.
Una casina
come un qualunque mortale
può possedere, 
che di straordinario non abbia niente,
ma che sia tutto trasparente:
di cristallo.
Si veda  bene dai quattro lati la via,
e di sopra bene il cielo,
e che sia tutta mia.
L’antico solitario nascosto 
Non nasconderà più niente
Alla gente.
Mi vedrete mangiare,
mi potrete vedere
quando sono a dormire,
mi vedrete quando vado a fare i miei bisogni,
mi vedrete mentre cambio la camicia.
E se in un giorno di malumore 
Mi parrà di litigare con la serva,
prenderete la sua parte, lo so,
farete benone, 
non c’è niente di male;
v’accorgerete della mia cera
come va la mia arte,
mi vedrete chino sopra le carte
dalla mattina alla sera.
E passando mi potrete salutare,
augurare il buongiorno e la buonanotte:
io vi risponderò.
Se ogni tanto mi vedrete
Che faccio la pipì
n
on vi scandalizzate,
o ditemi: “Piscione!”
se no peggio per voi,
non vi dovete voltare 
quando passate di lì.
“All’erta dormiglione,
è alto il sole!”
La mattina vi sentirò gridare.
”Pigrizia e poesia vanno a braccetto”
Vi sentirò borbottare.
Ma farò finta di non sentire
per restare un altro poco
a cucciare dentro il letto.
E quando non ne potrò più
mi butterò giù.
Riso e cavolo per desinare.
Dev’essere in bolletta.
Mangia la minestra con la forchetta!
Che razza d’animale.
Beve acqua per risparmiare.
Beve acqua perché gli piace.
Che ci sia qualche cosa
con quella cameriera?
Mamma mia che indecenza!
Brutta a quella maniera
ma la notte cosa fanno?
Bella, vanno a dormire.
Quella è la stanza di lui,
quella è la stanza di lei,
accanto alla cucina…
Ti piacerebbe di stare in quella casina?
No davvero, no davvero
vivere a quel modo in berlina.
Due camere un salotto e la cucina.
Hai visto il cesso com’è bello?
E' di vetro anche il cariello.
Ma cosa è andato a inventare.
Guarda guarda, va nel cassettone…
Ah! No…che cosa andrà a fare?
Mamma mia!
Che si butti un po’ sul letto?
Bambine venite via!
Sarà stanco poveretto.
Non vedi che viso bianco?
Qui bisogna riparare
e il comune che gli ha dato il permesso
di fabbricare una casa di quel genere.
Vi sbagliate!
Ha ragione, per Dio!
Me ne sto facendo una anch’io.
Quando gli uomini vivranno
tutti in case di cristallo,
faranno meno porcherie,
o almeno di vedranno.
Sostenete delle tesi sbagliate.
E' un pazzo come lui.
E come se ne sta tranquillo,
quel po po’ di salame.
Guarda guarda, ci saluta.
Ah, ci ha detto: “buona passeggiata”.
Buon lavoro, poeta.
E'
una gran puttanata!
Ma che bella trovata!

Non sembra una singolare coincidenza quella dell’artista peruviana?
Ma chi è Aldo Plazzeschi, l’uomo del “controdolore” che con i suoi versi offre tante piccole pillole di buon umore a noi perennemente tediati, afflitti e angosciati? Forse vale la pena di rivisitarlo brevemente e riconsiderare l’idea di tornare a un modello di vita meno intimistico e più giocoso.
Poeta e scrittore, Aldo Palazzeschi, nasce a Firenze nel 1885 da una famiglia borghese. Diventa ben presto un provocatore di professione, non solo perché esercita originalissime forme di scrittura ma anche perché propone una lettura della realtà molto particolare, rovesciata rispetto al modo di pensare comune. Di questo se ne accorge Marinetti e lo invita a far parte del movimento futurista.
Dei futuristi ammira la lotta contro le convenzioni, contro il passato fumoso, gli atteggiamenti di palese provocazione, le forme espressive che prevedono la “distruzione” della sintassi, dei tempi, dei verbi, degli avverbi, della punteggiatura….e propongono” le parole in libertà”.

Come appare nelle raccolte “Cavalli bianchi”, “Lanterne” e Poemi”, Palazzeschi esalta la gioia del vivere e ammonisce l’uomo a “ridere” di tutto ciò che lo fa soffrire. Anche le scuole devono educare al riso quale elemento capace di tenerci lontani dall’ipocrisia falsa e borghese. Le sue idee originali e provocatorie occupano le pagine di alcune importanti riviste letterarie quali “Lacerba” e “La Voce”. Nel 1914 ripudia gli atteggiamenti nazionalisti dei fascisti e taglia i legami con il movimento futurista. La partecipazione alla prima guerra mondiale lo allontana del tutto dalle tematiche care a Marinetti e lo riavvicina a forme più tradizionali di scrittura di cui ne è esempio il romanzo “Le sorelle Materassi”.
Negli anni sessanta si sviluppa il terzo periodo dell’attività letteraria del nostro autore che lo vede nuovamente interessato alle sperimentazioni giovanili.

Nel 1972 si congeda dai suoi lettori con il componimento che prende appunto il nome di “Congedo” che è un inno alla immortalità della poesia: “Muoiono i poeti ma non muore la poesia / perché la poesia / è infinita / come la vita”.
Nel 1974 muore a Roma.

In alcuni testi l’autore si interroga sulla sua identità: l’ironia E’ la chiave di lettura delle sue opere. E con l’ironia si rivolge, non solo a se stesso ma anche alla poesia e al ruolo che i poeti hanno nella realtà in cui vivono. Il poeta non è più colui che porta e diffonde messaggi di alto impatto morale, non è più il vate che trasmette valori universalmente riconosciuti. Non è più il maestro di metrica. Già il futurismo ha provveduto a spazzare via questa concezione dell’arte. L’unica alternativa, l’unica via di fuga dal passato ingombrante, fumoso e intrigante sono la follia, lo scherzo, il divertimento smodato. “E lasciatemi divertire” dice Palazzeschi. Ma se l’autore è un folle malinconico, nostalgico, un po’ poeta, un po’ pittore, un po’ musico, anche l’identità della nuova poesia risente di questi aspetti. Le immagini sono volutamente ironiche, buffe conducono inevitabilmente al riso perché questo è l’obiettivo di Palazzeschi ma anche dei futuristi. Il riso è l’esplosione della vitalità interna, è energia, è lotta alla noia esistenziale, è superamento di stati d’animo di situazioni mentali e culturali precedenti e, soprattutto è provocazione e smitizzazione. Il saltimbanco, il circo sono paragoni cari ai poeti del primo novecento) sono le tipiche figure in movimento, incapaci di sostare definitivamente perché hanno iniziato il lungo percorso della ricerca.. Sono i quadri cubisti di Picasso, le mille facce di Pirandello, il circo di Ungaretti, il saltimbanco di Palazzeschi, le immagini mai ferme di Marinetti… Ecco perché quando il nostro autore si interroga sul “Chi sono?” trova più semplice rispondere per esclusione  e evidenziare ciò che “non è”. Il ragionamento risulta così complesso, dunque più movimentato ma anche simmetricamente più rigido sul piano formale: alle domande infatti si susseguono in modo quasi metallico le risposte. A ogni verso, una risposta. Ma allora il movimento che viene esaltato è solo automatizzato? Ma allora il poeta che esce dagli schemi ideali è imprigionato da quelli strutturali? Ma allora anche l’individuo che si crede libero e anticonformista diventa il nuovo stereotipo di se stesso? Allora anche i futuristi più provocatori si imbrigliano nelle strette maglie della provocazione fine a se stessa?

Palazzeschi no, lui è il saltimbanco che svincola, che glissa, si allontana dai futuristi, si allontana da ogni vincolo incombente, si allontana da se stesso con la follia spersonalizzante. malinconia e nostalgia  si sublimano nell’ironia pura, fino all’eccesso della risata smodata. Il poeta si vuole divertire perché nulla di ciò che lo circonda è divertente.

Sì lasciamolo divertire questo tenero, struggente, aggraziato saltimbanco del ‘900. Non lasciamolo solo, divertiamoci con lui, guardiamolo quel suo cuore con la lente e facciamo vedere anche i nostri alla gente liberandoci un po’ dal conformismo e dall’esagerato intimismo dei nostri tempi. Sarebbe bello che imparassimo anche noi a vivere nella “Casina di cristallo “ almeno per un po’…

Maria Chiara Passera

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