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redarrowleft.GIF (53 byte) Letture & Scritture Febbraio 2000

 

L’insostenibile leggerezza dell’adolescenza

Un ragazzino che spera di vincere la forza di gravità perché rifiuta ogni condizione definitiva; strani e ambigui personaggi; una fuga finale su un aeroplano in America. E’ il romanzo che segnò l’esordio di Susanna Tamaro nel 1989. Tra qualche ovvietà e frammenti luminosi

Susanna Tamaro, La testa fra le nuvole, Marsilio, pp.219, L.25.000

L'adolescente Ruben è affascinato dalla legge di gravità che coarta qualunque corpo e oggetto "spento" a cadere sulla terra dopo un volo o una parabola lunga o breve che sia; a differenza - egli crede - degli oggetti "luminosi", dalle stelle, le quali pur cadendo non giungono mai da qualche parte. Il suo sogno è di trasformare i corpi spenti in luminosi, di lanciare il giavellotto in una parabola tale "che anziché tornare indietro trascinato dalla sua pesantezza, si sarebbe librato più in là, oltre le nubi, sparendo poi in direzione del sole e delle stelle". L'asta appuntita finirà invece per trafiggere il suo precettore, costringendo il ragazzo ad una fuga che rappresenterà un’evasione dall'obbligo di crescere e accettare dunque la gravità/grevità della vita adulta. Tragitto fantasmatico e irreale quello di Ruben, viaggio di apprendistato e di caparbia volontà di opporsi a qualsiasi radicamento o condizione definitiva.

Un itinerario segnato, come in tutte le favole, da ambivalenti aiutanti/antagonisti: la cieca Ilaria, amante degli studi cinematografici, sorta di mamma mielosa e attaccaticcia, a cui il ragazzo descrive scene di immaginarie riprese filmate; o un equivoco e sessualmente ambivalente barone-barbone con cagnolini ed amante, che l'ingenuo ma volonteroso Ruben servirà in qualità di garcon de chambre; o la vedova Margy, che affiderà incautamente il suo meraviglioso giardino al ragazzo, il quale lo trasformerà, radendolo al suolo, in una pista di atterraggio per l'aereo dell'eccentrico amico archeo-aviatore. E sarà proprio questo personaggio, che col suo velivolo dà l'illusione di vincere la gravità, a condurre Ruben verso la meta agognata, l'America, luogo altro e, infine, poiché lontano e mitico: irreale. Ed è con quel volo (sogno, ennesima fantasia?) tra nembi bianchi e turgidi che si conclude - meglio: non si conclude - la favola/romanzo "La testa tra le nuvole".

La peculiarità narrativa di questo racconto (che nel 1989 segnò l’esordio di Susanna Tamaro e che Marsilio ha recentemente ripubblicato aggiungendovi i testi brevi de "La dormeuse életronique" ed "Elogio della grazia") si rivela nella capacità di rendere in modo così credibile l'innocenza, il candore sprovveduto di Ruben, senza alcuna retorica o artificio letterario che non sia l'essenzialità - e l'ovvietà, diresti, proprio perché estremamente pertinenti e semplici - di metafore e aggettivi; il gusto della descrizione di certi particolari dell'aspetto fisico (i quali poi rispecchiano quelli psicologici, che solo indirettamente, causa la giovane età, un adolescente può cogliere) dei personaggi e il grottesco surrealismo delle situazioni di un'ambiguità non scorta dal ragazzo, come nell'episodio in cui il barone, preso da passione erotica per Ruben, lo spoglia e ricopre di fiori e bacia, mentre l'innocente ragazzo non chiede, né si chiede "nulla, perché non c'era nulla da chiedere, poiché era evidente che quella altro non era che la fine della storia (...)". Dopo tali attenzioni, ancora una volta a Ruben non resterà - stupito solo un poco - che fuggire, come dagli altri ruoli/prigioni già sperimentati e rifiutati, costretto a un sofferto ma insieme allegro apprendistato alla vita, perseguito fra cento errori e travisamenti con l'ilare tenacia della testardaggine e un pizzico di salutifera follia.

Se certe pagine de "La testa fra le nuvole" ricordano non poco la levità e il casto fascino de "Il piccolo principe" di Saint Exupery, tuttavia - unico appunto al romanzo - la favola di Susanna Tamaro difetta un poco di unitarietà, di organicità; sono però tanti frammenti luminosi, gioiosi nel descrivere il vertiginoso ma esaltante precipitare dall'etereicità dell'innocenza alla gravità concreta della vita adulta.

Francesco Roat

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