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redarrowleft.GIF (53 byte) Cultura Gennaio 2000


L’anima? E’ morta nel ‘900

Una cultura legata al commercio, il "pensiero universale" spazzato via dal relativismo e al materialismo, il senso della storia dimenticato. E’ questa per Peter Russel, uno dei più grandi poeti britannici contemporanei che oggi vive ad Arezzo, l’eredità del 20esimo secolo. Ma non tutto è perduto. Basta ricordarsi che esistono ancora cose vere. Come la capacità di amare

Peter Russell è ritenuto dai critici letterari inglesi e americani uno dei più grandi poeti britannici contemporanei. Dopo le prime poesie pubblicate nel 1939, ha diretto riviste letterarie, pubblicato una trentina di libri di poesia, qualche opera di prosa, centinaia di articoli, traduzioni da svariate lingue, monografie e saggi. Durante la seconda guerra mondiale ha combattuto in Europa, poi in Birmania e in Malesia. Deposte le armi, è diventato professore di filosofia occidentale e orientale alla Imperial Academy of Philosophy di Teheran. Da anni vive in Italia, in provincia di Arezzo, dove continua, a fatica, a vivere della sua poesia.

Nautilus è andato a trovarlo per porgli alcune domande sul secolo appena finito, come spunto di riflessione sul progresso della nostra società e degli uomini che in essa vivono.

E’ finalmente arrivato il tanto atteso nuovo millennio, ma vorrei ci fermassimo ancora un po’ per riflettere sul secolo che abbiamo appena lasciato. Lei ha visto in prima persona molti eventi importanti che l’hanno segnato: cosa stiamo portando con noi nel 2000?

Il concetto di ‘secolo’, come lo usi tu in questa sede, è puramente culturale. Il Cristo, dicono gli esperti, nacque nel 4 a.C. Inoltre, il pensiero di chi è vissuto nel Novecento non è certo nato dal nulla. La configurazione culturale che chiamiamo ‘modernismo’ è il prodotto immediato del pensiero progressivo che si è sviluppato dal Settecento in poi. Darwin ha iniziato i suoi studi sull’evoluzionismo circa nel 1830 sotto la tutela del nonno Erasmus. Freud, una delle colonne delle follie novecentesche, era stato preceduto di 50 anni da Von Carus. Nietsche, forse il pensatore più influente sul Novecento, ha preso più idee dagli antichi greci che non dal proprio tempo.

D’altra parte sin dai primi anni del secolo è andata emergendo una particolare configurazione di pensiero con la relatività di Einstein, la teoria dei quanti di Planck e la scomparsa quasi totale dei confini tradizionali tra i generi letterari. Ma questi punti di svolta non erano altro che processi già in evoluzione da mezzo secolo. Nel campo sociale abbiamo visto durante la prima metà del secolo la lotta del socialismo e dell’uomo comune contro il capitalismo e l’imperialismo. Una svolta importantissima è stata poi la rivoluzione dei Beat e dei Flower Children nei primi anni Cinquanta. Purtroppo, con il ’68 la nuova ondata di idealismo si è trasformata, nell’arco di un decennio, in una lotta fra generazioni in cui i giovanissimi usurpavano i posti e le responsabilità dei padri. E poi ci sono Internet e la Tv, le grandi frodi pubblicitarie, le guerre, i genocidi, l’usurocrazia incontrollabile di multinazionali, banche e compagnie assicurative, e altre malattie mentali. Cosa ci segue nel nuovo secolo? Direi che tutti i nostri guai e follie ci seguiranno. Forse l’unica cosa che mancherà sarà la macchina da scrivere meccanica. Già è impossibile farla riparare.

Il Novecento si è distinto da tutti i secoli che l’hanno preceduto per la rapidità dello sviluppo tecnologico che indiscutibilmente e profondamente modificato le vite degli esseri umani. Pensa che questo sviluppo possa portare più confusione o più chiarezza nella visione del mondo degli uomini?

La tecnologia ci ha portato infiniti benefici in ogni campo. Non voglio dire niente contro la tecnologia (anche l’invenzione della ruota fu ‘tecnologia’) ma solo rammentarti che l’abuso della tecnologia non può che pervertire la vita sana. Il grande pericolo è il fatto che la tecnologia viene sviluppata e messa in atto unicamente dai poteri finanziari e commerciali. Per quanto sia utile l’informatica, troppo spesso non viene usata per informare la gente, ma piuttosto per controllarla. Recentemente ho comperato dei libri in una libreria della quale sono cliente da più di 50 anni. La cassiera ha insistito perché dessi il mio codice fiscale. Siamo controllati come topolini in un labirinto. Capisco bene perché tanti giovani credono che non ci sia nessuno scopo nella vita se non la sopravvivenza economica e l’accumulazione di danaro. La cultura di oggi è quasi unicamente commerciale, fatta di intrattenimento superficiale e piaceri illusori. La tecnologia, per quanto utile e desiderabile, non può chiarire nessun problema mentale.

Nel dare uno sguardo complessivo agli avvenimenti culturali e reali del Novecento, percepisce un sentimento dominante, qualcosa come il Romanticismo nell’Ottocento?

Fra tanti altri segni ancora non pienamente definiti, direi che nel nostro secolo è evidente la tendenza verso un ‘relativismo assoluto’. Il concetto di ‘assoluti’ o di idee ‘universali’ è controcorrente. Il ‘realismo’ di Tommaso d’Aquino, basato su verità spirituali e metafisiche, è sparito lasciando la parola ad un materialismo che non corrisponde ai fatti. Così si confonde l’apparenza, i fenomena, con la Realtà. Comunque, mi sembra troppo presto per porre un’etichetta culturale sul secolo.

E’ stata comunemente decretata una sorta di morte della poesia in quanto la gente non legge (e non compra) più libri di poesia. Quale pensa possa esserne la ragione? Cos’è cambiato nella predisposizione spirituale umana?

L’enorme carico di lavoro degli uomini d’oggi, combinato con perdite di tempo quasi irresistibili come la Tv ed i divertimenti considerati ‘necessari’, hanno fatto sì che l’uomo contemporaneo non abbia mai tempo per fare altro. Una delle piaghe più nocive, specialmente per la gente impiegata nel mondo della ‘cultura’, è l’aumento della burocrazia. I professori d’università impiegano forse più tempo per le pratiche burocratiche che per l’insegnamento o per la ricerca. Per altra gente più o meno colta c’è pochissimo tempo per leggere. E meno ancora per ‘costruirsi l’anima’, cioè per definire una propria forma interiore. E senza un’anima, come possono scrivere poesie serie? Non credo affatto che la poesia sia morta, ma è innegabile che il pubblico che s’interessa alla poesia è enormemente diminuito.

Quali forme ha assunto la poesia per sopravvivere in questo secolo?

La risposta a questa domanda occuperebbe qualche volume. A chi vuole sapere questo, consiglio di leggere uno splendido studio di Vittoriano Esposito: Poesia, anti-poesia e non-poesia, pubblicato dalla Bastogi di Foggia. Aggiungo solo un punto: nella poesia più recente c’è una sconvolgente mancanza di coscienza della storia. Una mente abbastanza ricca da concepire poesie degne di tale nome deve essere cosciente del fatto che le nostre idee si sono formate nel corso di almeno 5000 anni. La storia non comincia da Freud e Nietsche.

Quale forma la poesia potrebbe prendere perché gli uomini del 2000 ci si riconoscano e le riconoscano un valore?

Non credo nell’efficacia di schemi predefiniti come modo di fare poesia. Direi solo che il poeta deve pensare e sentire (un processo indivisibilmente unico) con tutto il corpo, tutta l’anima, tutto lo spirito. La produzione di poesie è un processo olistico, sintetizzante, non analitico. La gente del nuovo secolo non riconoscerà il valore della poesia se i futuri poeti non ne faranno un’Apocalisse, cioè una rivelazione. E una rivelazione è ciò che svela cose fino a quel momento nascoste.

Come sintetizzerebbe quanto abbiamo detto finora?

Dimentichiamoci del Novecento! Pensiamo all’interno di un campo molto più vasto che non un singolo secolo. Pensiamo alle cose che sono sempre vere e valide, come dice Ezra Pound:

Ciò che sai amare rimane
il resto è scoria
Ciò che tu sai amare non sarà strappato da te
Ciò che tu sai amare è il tuo vero retaggio.

t.t.

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